LA CUCINA TERRITORIALE DI DEMIS ALEOTTI
Della cittadina di Crevalcore nei secoli scriveranno storici ed eruditi del calibro di Carlo Sigonio, Alessandro Tassoni e Girolamo Tiraboschi, interrogandosi sull’origine etimologica del nome di questa località della Bassa Bolognese. Il suo toponimo sembra, infatti, riportare alla riedificazione dell’attuale castello, dopo la completa distruzione del precedente, ma potrebbe riferirsi anche all’espressione latina crepa(tum) corium cioè pelle, scorza crepata, identificando un’area ai margini delle aree paludose, dove l’acqua ritirandosi d’estate marca di crepe il terreno. Fatto sta che la parola cuore ricorre a lungo nella storia della cittadina, fino a diventare il gonfalone del paese (tre cuori rossi in campo bianco). Una località dalla solida tradizione agricola, celebre per la coltivazione delle patate e delle pere, che nel suo centro storico pulito e ordinato nasconde evidenze gastronomiche che meritano il viaggio, come Bottega Aleotti.
L’insegna prende il nome dal suo chef e patron Demis Aleotti, che la aprì nel 2008. Si trova all’interno di un suggestivo edificio della fine del Settecento, che dagli anni cinquanta era sede della storica Osteria Papi, una vineria con cucina che in seguito divenne ristorante. All’ingresso una deliziosa veranda, quasi un privé con i tavoli d’estate, poi il bancone con i grandi barattoli di biscotti e caramelle come le botteghe d’una volta preparati artigianalmente da Demis. All’interno una sala profonda che cinque anni fa è stata ristrutturata aggiungendo elementi d’arredo d’epoca che appartengono al vissuto di Demis e della moglie Simona, a partire da alcuni lampadari dai grappoli di vetro, che ricreano il calore e il clima familiare delle case bolognesi della Bassa.
“Ho conosciuto mia moglie che faceva un altro mestiere” racconta Demis “siamo andati a vivere a Bologna coltivando il sogno di aprire un locale e nel maggio 2008 siamo tornati a Crevalcore per aprire Bottega Aleotti, mentre nostro figlio aveva due mesi. Fu un periodo difficile e intenso ma molto bello, ce la facemmo grazie all’aiuto dei nostri genitori. All’inizio furono tanti gli errori ma ci servirono a capire la direzione da prendere”. Classe ’74, Demis Aleotti è nato a Crevalcore e una volta diplomato all’alberghiera di Bologna ha fatto la gavetta in importanti insegne bolognesi. “Una delle prime esperienze dopo la scuola è stato lavorare da Silvio a Bologna; ero ancora minorenne, ci andavo in treno e a tarda sera mi veniva a prendere il papà. Poi andai da suo fratello Fabio in via Castiglione: lì conobbi l’oste vero e quello che rappresenta; ricordo bene quel prendersi cura del cliente e fare impresa, un’esperienza che prima di partire per il militare mi diede tantissimo”.

Insalatina di coniglio con salsa tartara, finocchio croccante e arancia
La cucina di Aleotti è ispirata alla tradizione e si avvale caparbiamente di materie locali e accurate preparazioni con tecniche classiche e contemporanee. La sala è invece appannaggio della moglie Simona e del maître Enrico, ma vive una particolare prossimità con Demis, che gira fra i tavoli e crea una profonda empatia con l’ospite. Tutte le sfoglie sono fatte in casa e tra le materie impiegate spiccano le selezioni della macelleria Rizzieri, con le carni, i salami, i cotechini, poi il Parmigiano delle Vacche Rosse, la frutta e la verdura degli orti della zona, le paste di Latini e Felicetti, il pesce di Porto Santo Spirito: tutti ingredienti impiegati con mano sicura e un occhio attento all’estetica. I tre menu degustazione (carne, pesce e vegetariano) insieme a una carta ampia e variegata, garantiscono proposte dinamiche fortemente identitarie. Ottima l’Insalatina di coniglio con salsa tartara, finocchio croccante e arancia; superlativi i Tortellini tradizionali in crema di parmigiano con guanciale Rizzieri e gocce di aceto balsamico 12 anni; notevoli i Passatelli con ragù bianco di vitello e crudaiola di zucchine nostrane alla senape rustica; di grande piacevolezza il Branzino con insalatina di cavolo cappuccio e yogurt; ma anche il Polpo piastrato con panzanella, o lo Snickers alle arachidi e fondente croccante.

Passatelli con ragù bianco di vitello e crudaiola di zucchine nostrane alla senape rustica
Il territorio ritorna più e più volte in un menu che non dimentica neppure la celebre pera tipica della zona, inclusa non di rado nelle preparazioni e in particolare nel riuscito cheesecake. Poi i lievitati. Un rapporto speciale con qualcosa che è vivo, a cui volere bene, da alimentare ogni giorno, che a seconda delle farine e del lievito licoli produce risultati sempre diversi e appaganti, vera manna dal cielo per gli amanti del genere. Un rito ormai per Demis, che accudisce come un figlio la pagnotta di pane cuocendola in forno all’interno di una pentola di ghisa rovente per 25 minuti coperta e 25 minuti scoperta. Ma non solo, ci sono gli imperdibili krapfen (la bomba di Demis con crema pasticcera è sempre presente nel menu invernale), le focacce ingrassate con strutto, pancetta e lardo, le focacce di patate, i grissini e la biscotteria, che ogni giorno prendono vita e vengono portati al tavolo ancora caldi.

Il pane di Demis Aleotti, cotto in forno all’interno di una pentola di ghisa rovente.
Ampia la proposta dei vini, con una cantina di oltre centottanta referenze in rappresentanza di quasi tutte le regioni italiane e un nutrito reparto di Champagne e vini biodinamici, senza dimenticare il territorio con grandi rossi e metodo classico regionali.
“Mi sono avvicinato alla cucina attraverso la mia famiglia” continua Demis “la condivisione della tavola era molto importante a casa quando ero piccolo, la domenica eravamo a pranzo tutti insieme; mangiare era un po’ riunire la famiglia e, quando si facevano i tortellini, a dare una mano c’erano la zia, la mamma, la nonna e noi bambini, un momento di puro sentimento che andava oltre all’atto tecnico. Ogni anno c’era il rito del maiale: si partecipava tutti insieme a disfare il porco, ricavandone quanto più era possibile. Ricordo la manualità di mio padre e dei suoi amici con i coltelli, quell’odore intenso di vino, aglio e budelli che potrebbe sembrare sgradevole ma non si dimentica e per me vuole dire casa, un senso di appartenenza che il cibo riusciva a darci. Ed è quello che sto cercando di fare oggi al locale, coinvolgere il mio team facendogli vivere il gruppo attraverso esperienze forti che rimangano, dove il tempo che trascorriamo insieme sia qualificante e si possa sempre offrire un grande prodotto al nostro cliente. Molte delle mie ricette riportano alla cucina di casa, ad esempio la zuppa imperiale che faceva mia mamma, che ho riletto aggiungendo una passata di fagioli borlotti e un filo di lardo di colonnata. Grazie all’ingresso nell’associazione Tourtlen, ho conosciuto autorevoli colleghi, da cui ho imparato tanto e che mi hanno aiutato a crescere; il confronto ti aiuta a colmare le lacune e ho capito non deve mancare mai”.