CHIHUAHUA, IL CUORE SELVAGGIO DEL MESSICO
Da Gorditas Lupita si gustano le migliori quesadillas de la regione: farina di frumento molata a pietra e formaggio artigianale prodotto seguendo le antiche ricette campesinos. Lupita e suo figlio Luis sono una meta imperdibile del pueblo di Santa Isabel, lungo la strada che, dalla città di Chihuahua porta a Cuahutemoc. Da poco abbiamo lasciato la capitale del più grande Stato della Repubblica Messicana in compagnia di Rita Meraz, che lavora nel locale ufficio turistico, addentrandoci nella sconvolgente bellezza di un immenso territorio, ricco di contrasti e meraviglie naturali.
Un mosaico divino di deserti, vertiginosi canyon e montagne avvolte da fitte foreste di conifere. Collocato nel nord del paese, al confine con gli Stati Uniti, Chihuahua sembra plasmato per esaltare la potenza della natura e la resilienza dell’uomo che lo abita. Con una superficie di oltre 247.000 chilometri quadrati, questo territorio incarna una duplice anima: quella arida e infuocata del deserto di Chihuahua e quella aspra e rigogliosa della Sierra Madre Occidentale. Il deserto, che si estende fino agli stati vicini di Sonora, Coahuila, e oltre il confine statunitense, è uno dei più vasti e antichi del continente, popolato da cactacee e arbusti spinosi che sfidano l’aridità con una silenziosa determinazione.
Sebbene il paesaggio sia aspro, Chihuahua ospita una biodiversità sorprendente: il lupo casalingo, l’aquila reale, e il pecari collare vivono accanto a specie vegetali uniche, come il cactus ocotillo e l’agave. Queste terre furono percorse dai missionari gesuiti, dai conquistadores spagnoli e dai coloni, che qui lasciarono un’eredità fatta di missioni barocche, tradizioni mestizie e il leggendario spirito di indipendenza. Spirito che ritroviamo nell’omonima Capitale fondata nel 1709, piacevole nel suo centro storico e culturale con gli eleganti edifici coloniali e le piazze gremite di vaqueros con le immancabili botas (stivaletti) con la punta all’insù, e lo Stetson (universalmente riconosciuto come l’originale cappello dei cowboys) calato sulle ventitré. Nella piazza antistante l’elegante e severo Palacio del Gobierno, si celebrano riti animisti-cattolici che affondano le radici nella cultura pre-ispanica, sapientemente miscelata con la religione cattolica importata dai gesuiti.
La storia del Chihuahua è profondamente legata Rivoluzione Messicana, culla di personaggi che hanno plasmato il destino del Messico. Dai ribelli alle donne coraggiose, dagli artisti ai visionari, per finire ai bohémien. Scrivere di queste lande infuocate significa rievocare battaglie, ma anche la sua anima eterna, come le montagne che le attraversano. Personaggi quasi mitici come Nellie Campobello una delle poche donne che scrissero della Rivoluzione, nella sua opera Cartucho scrisse che “Nelle strade di Chihuahua, i proiettili danzavano come il vento tra le montagne”. O come Martín Luis Guzmán, il cronista della rivoluzione, nelle sue opere, tra cui “El águila y la serpiente” e “Memorias de Pancho Villa”, descrive Chihuahua non solo come una terra di battaglie, ma come un simbolo della resilienza messicana. Ritroviamo le tracce di quel periodo storico convulso nel murales “Del Porfirismo a la Revolución”, opera iconica che riflette le lotte e le speranze del popolo creato dal famoso muralista David Alfaro Siqueiros, uno dei tre grandi dell’arte messicana, insieme a Diego Rivera e José Clemente Orozco. Per Siqueiros “l’arte è un arma e, ogni pennellata è una rivoluzione”.
Divagazioni storico-culturali che ci portano a comprendere più a fondo l’anima vera di queste genti, mentre continuiamo il nostro viaggio, fra immense distese dove pascola il ganado bravo (bestiame libero) e, scenografiche vallate ricche di vita e di colore. Finalmente arriviamo al pueblo di Creel situato a 2.400 metri di altitudine. Aria fresca di montagne, profumo di pini e strade acciottolate, accolgono il visitatore e lo introducono nel vivere la Sierra Tarahumara e il popolo che la abita i Rarámuri, il cui nome significa “coloro che corrono veloci”, sono un popolo che ha mantenuto viva la propria identità attraverso secoli di sfide.
La loro storia è quella di una resistenza silenziosa ma potente, che li ha portati a rifugiarsi nelle remote profondità della Sierra Madre per sfuggire alla colonizzazione spagnola. Questo isolamento ha preservato non solo la loro lingua e le loro tradizioni, ma anche uno stile di vita radicato nell’equilibrio con la natura. La loro filosofia di vita si riflette in una delle massime che spesso pronunciano: “Ni más alto, ni más bajo, vivimos donde el sol y la sombra se abrazan”. (Non più in alto, non più in basso, viviamo dove il sole e l’ombra si abbracciano). Famosi per la loro capacità di percorrere immense distanze a piedi, i Rarámuri non corrono per semplice attività fisica ma per istaurare una connessione spirituale con la terra. La loro economia si basa su un’agricoltura di sussistenza – mais, fagioli e zucche – e sull’artigianato, tra cui spiccano cesti intrecciati con foglie di pino e tessuti tradizionali.
Ogni oggetto, spesso venduto nei mercati di Creel, racconta una storia, un frammento di una cultura che vive di semplicità e profondo rispetto per l’ambiente. Creel fu fondata ufficialmente il 26 maggio 1907 come parte di un progetto di espansione della linea ferroviaria del nord del Messico. Deve il suo nome a Enrique Creel Cuilty, figura di spicco nella storia economica e politica dello stato di Chihuahua e promotore dello sviluppo infrastrutturale della regione. Originariamente concepita come una semplice stazione ferroviaria, Creel divenne rapidamente un punto di riferimento per le comunità indigene Rarámuri e per i coloni europei. La città fu strategica per lo sfruttamento delle risorse naturali della Sierra, come il legname e i minerali, e servì anche come base per l’esplorazione delle Barrancas del Cobre. Oggi, Creel è una meta turistica conosciuta per la sua atmosfera montana, la vicinanza alle Barrancas del Cobre e il collegamento con il famoso treno Chepe (Ferrocarril Chihuahua al Pacífico).
Come scrisse uno storico locale: “Creel non è solo un punto sulla mappa ferroviaria, ma un luogo dove la modernità ha incontrato la spiritualità della Sierra.” A pochi chilometri dal centro cittadino, imperdibile la visita alle valli de los Hongos e de las Ranas, per ammirare scenari primordiali e le comunità Rarámuri. Ma è nel cuore della Sierra Tarahumara, all’interno della Sierra Madre Occidentale, che si cela uno dei tesori più spettacolari dello stato: le “Barrancas del Cobre, o Canyon del Rame.” Questo sistema di canyon, più esteso e profondo del Grand Canyon americano, è una meraviglia geologica che incanta con le sue pareti scoscese, le cascate fragorose e villaggi remoti abitati dai Rarámuri. Le Barrancas del Cobre non sono un unico canyon, ma un sistema di sei grandi gole che si intrecciano, formando un complesso geologico che copre oltre 65.000 chilometri quadrati.
Tra i più noti: Barranca del Cobre (da cui deriva il nome del sistema), famosa per le sue pareti di rame che brillano al sole; Barranca de Urique , la più profonda, con i suoi 1.879 metri di dislivello; Barranca de Sinforosa , soprannominata “La Regina dei Canyon” per le sue viste mozzafiato e le cascate impetuose; Barranca de Batopilas , dove il tempo sembra essersi fermato, tra villaggi remoti e antiche miniere d’argento. Il fotografo americano Edward Weston, uno dei più grandi maestri della fotografia del XX secolo, visitò le Barrancas del Cobre negli anni ’40 e le descrisse come: “non sono solo paesaggio, ma emozione. Ogni scatto è un respiro, una preghiera alla bellezza del mondo”.
Divisadero è il punto panoramico più iconico delle Barrancas del Cobre, un balcone sospeso sull’immensità dei canyon. Nelle vicinanze ci si può cimentare con le attrattive adrenaliniche del Parco Avventura Barrancas del Cobre lasciandosi trasportare dalla tirolesa più lunga al mondo che attraversa il canyon con un volo di 2.5 chilometri o, attraverso i ponti sospesi e le strade ferrate che sfidano la gravità. Divisadero e le Barrancas del Cobre non sono solo una destinazione turistica: ma un’esperienza trasformativa che invita a riflettere sulla forza della natura e sulla fragilità umana. È un luogo che parla con il linguaggio del vento, delle rocce e del silenzio. Visitando questi luoghi, la memoria non può che correre al personaggio simbolo che ha reso leggendarie queste lande. José Doroteo Arango Arámbula, meglio noto come Pancho Villa il leggendario rivoluzionario del nord che utilizzò Le Barrancas del Cobre non solo come rifugio della sua giovinezza, ma anche come palcoscenico delle sue battaglie.
I sentieri impervi e i canyon impenetrabili offrivano riparo e strategia. Villa utilizzava queste terre per sorprendere i suoi nemici, organizzando imboscate e muovendosi con rapidità grazie alla conoscenza del territorio. Quando nel 1910 scoppiò la Rivoluzione Messicana, Pancho Villa si unì alle forze di Francisco Madero, che si opponevano al regime dittatoriale di Porfirio Díaz. Grazie alla conoscenza del territorio e al carisma, Villa trasformò i suoi uomini in un esercito disciplinato, noto come la División del Norte, che divenne una delle forze più temute e rispettate della rivoluzione. Pancho Villa non era solo un guerriero, ma anche un simbolo di giustizia sociale. Durante la sua amministrazione nello stato di Chihuahua, espropriò le terre dei latifondisti distribuendole ai campesinos, fece costruire scuole e ospedali, e introdusse salari equi. Il rivoluzionario per antonomasia era profondamente legato al suo popolo, come dimostra una delle sue frasi più celebri: “Yo soy el pueblo. Mientras el pueblo me apoye, yo lucharé por ellos”. (“Io sono il popolo. Finché il popolo mi sosterrà, io lotterò per loro”).
È mattina presto quando la folla si accalca nella stazione di Divisadero per salire sul mitico Chepe Express, il leggendario treno che collega in 15 ore Chihuahua a Los Mocis sul Pacifico. La versione lussuosa inaugurata nel 2018, garantisce ottimo confort, buona cucina e panorami indimenticabili. La nostra carrozza è la penultima, accogliente e spaziosa, preludio all’ultima carrozza che, in pratica, è un enorme salotto dalle finestre completamente apribili da cui ammirare i maestosi scenari che, come in un film d’avventura, si susseguono lungo la ferrovia. Il Ferrocarril Chihuahua al Pacífico noto affettuosamente come El Chepe, non è solo un capolavoro ingegneristico che si estende per circa 653 chilometri, con 37 ponti e 86 tunnel, seguendo un tracciato che segue percorsi sinuosi che sembrano abbracciare montagne, pareti rocciose, vallate profonde e villaggi remoti. Ogni chilometro della ferrovia racconta storie di resilienza e creatività. È un viaggio temporale nel cuore della cultura e della natura del Messico settentrionale, un’esperienza che unisce i deserti bruciati dal sole del Chihuahua alle coste tropicali del Mar di Cortez.
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Photo credits: Mauro Parmesani