ADDIO A PAOLO FORADORI
Ci ha lasciato Paolo Foradori, padre di Martin e immagine sempiterna dell’azienda Hofstätter. È stato il patriarca del Pinot Nero altoatesino, ma non solo. È stato un pioniere, il lungimirante scrittore di celeberrime pagine di storia del vino in Italia. Per commemorarlo con tutto l’affetto che merita, sento il dovere di riproporre un meraviglioso articolo a firma di Francesca Negri apparso su James Magazine n.5. Il ricordo di quell’incantevole incontro mi rimarrà nel cuore per sempre.
Bruno Petronilli
I Patriarchi del Pinot Nero
di Francesca Negri
foto di Antie Braito
Quella che in autunno avvolge Mazzon, patria del Pinot Nero italiano, è un’atmosfera da Sturm und Drang: distese di vigneti perfettamente disegnati nel paesaggio fanno perdere il senso del tempo e dello spazio in una Natura che da un lato è sublime e utopica e dall’altra esplode in un carnet di colori che ti ricorda l’inevitabilità degli istinti e delle passioni.
Sturm und Drang, tempesta e impeto, è quello che hai anche nel bicchiere, se stai bevendo un Pinot Nero, uva nobile e capricciosa come nessun’altra, con il fascino di una donna libera, bellissima e intelligente, che puoi sperare di domare, ma mai di possedere. Oppure, per dirla con Martin Foradori Hofstätter, “il Pinot Nero è un vino per liberi pensatori, per chi non si lascia limitare, per anime libere”. E’ lui oggi l’anima libera (e in parte anche un po’ ribelle) di Tenuta J. Hofstätter, di cui ha preso in toto le redini nel 2001 dal padre Paolo, che il mondo del vino unanimemente riconosce come il patriarca del più grande Pinot Nero made in Italy.
Tutto ha inizio dopo la seconda metà dell’Ottocento quando il luminare della chimica organica Ludwig Barth, cavaliere di Barthenau, nato a Rovereto di Trento nel 1839, decide di piantare nella sua tenuta di Mazzon, a due passi da Egna, in Alto Adige, alcune vigne di Pinot Nero. Un atto pionieristico che però resta confinato in quel piccolo fazzoletto di terra baciata dal sole della Bassa Tesina per quasi cento anni, finché non entra in scena Paolo Foradori, la cui famiglia, attorno al 1940, acquista proprio la Tenuta Barthenau e altre terre vitate in quel di Mazzon.
Foradori, trentino di nascita, sognava di fare vino da quando era bambino, ma a il padre, avvocato in una famiglia di agricoltori, per lui invece voleva una carriera notarile. Poi, fortunatamente, accadde “la tragedia”, come la definisce Paolo, ovvero la bocciatura agli esami di maturità: i progetti paterni vanno a gambe all’aria e lui da quel momento si trasferisce a Innsbruck e inizia a lavorare nel settore del vino. Poi, una sera, incontra Sieglinde Oberhofer, figlia di quel Konrad Oberhofer che dal 1942, assieme alla moglie Luise, aveva assunto la guida delle tenute vinicole fondate nel 1902 a Termeno dagli zii Josef e Maria Hofstätter. Quello tra Paolo e Sieglinde fu un colpo di fulmine scoccato, come nei migliori romanzi d’amore, a una festa dell’alta società austriaca e suggellato da un ballo tanto disastroso (“non ho mai saputo ballare, le ho pestato i piedi mille volte” confessa Paolo) quanto galeotto. Il loro matrimonio fu celebrato nel 1959 e riuscì a unire non solo due anime, ma anche due grandi famiglie del vino. Quell’anno Paolo dà alla luce il primo Pinot Nero di Mazzon (o, per il toponimo locale, Mazon), ma i suoi studi e il suo amore per la Borgogna lo avevano portato a maturare non solo l’idea che il terroir della Tenuta Barthenau fosse unico e che il suo microclima avrebbe potuto dare vita a grandi vini, bensì anche la convinzione che in etichetta non fosse tanto importante dare risalto al nome del produttore, quanto piuttosto al luogo di nascita del vino, cioè il rispettivo maso e la vigna. Così, già negli anni Cinquanta, i vini Hofstätter riportavano il nome delle loro particelle di origine: per questo Paolo Foradori è ritenuto non solo il padre del Pinot Nero italiano, ma anche colui che ha dato il via all’introduzione della menzione “Vigna” in Alto Adige, ora riconosciuta ufficialmente come massima ed unica espressione e garanzia della provenienza di un vino da uno specifico vigneto.
Martin Foradori Hofstätter, dal canto suo, non è da meno del padre. Stessa anima tempestosa, stesso piglio, stesso granitico attaccamento al terroir. L’azienda con lui ha fatto passi da gigante, conquistando la ribalta internazionale, ed è diventata una delle cantine private più grandi dell’Alto Adige con i suoi 50 ettari di proprietà, e una delle più tecnologiche. Ma non solo, perché la passione e la lungimiranza che accomuna padre e figlio ha portato Martin a essere il primo (e unico) produttore italiano a sbarcare in Germania, acquistando una storica cantina della Mosella, la Dr. Fisher, famosa per i suoi Riesling, e poi a rilevare Maso Michei, nella sperduta Valle dei Ronchi, dove a quasi mille metri di altitudine sul confine tra Trentino e Veneto, Foradori sta accarezzando il sogno di produrre oltre a Sauvignon e Müller Thrugau, anche un metodo classico Trentodoc di altissimo livello. Se non bastasse, Martin Foradori Hofstätter è anche vice presidente del Consorzio vini Alto Adige, con cui oggi sta portando avanti un progetto che è destinato a fare scuola in Italia: quello delle menzioni geografiche aggiuntive, con l’individuazione di 86 micro-zone nelle quali sono stati definiti persino i vitigni a maggior vocazione. Una rivoluzione oggi al vaglio del Ministero di competenza, che potrebbe dare il via libera tra qualche mese, in tempo per la vendemmia 2020.
Ma torniamo al Pinot Nero. Il Barthenau Vigna S. Urbano di Hofstätter vede ufficialmente la luce nel 1987, ed è l’espressione – prodotta ogni anno in circa 12mila bottiglie – di un cru prestigioso di 3,5 ettari collocato nel cuore dell’area vocata della tenuta Barthenau di Mazzon. Al suo interno si trova anche Vigna Roccolo, il vigneto più storico della cantina, risalente al 1942, che prende il nome da un’antica struttura per la cattura degli uccelli: da qui nel 2012 è stata prodotta la prima annata di un nuovo “Super South Tyroleans”, il Barthenau Vigna Roccolo appunto, un Pinot Nero dal carattere indomito e dalle potenzialità d’invecchiamento lunghissime. “Volevamo dare vita a un nuovo cru, ad una nuova espressione del terroir di Mazzon”, spiega l’enologo Markus Heinel, che ogni anno porta in cantina pochissime barrique di Vigna Roccolo, per un totale di appena mille bottiglie prodotte.
Il cuore di Hofstätter si trova a Termeno, nell’edificio del Cinquecento che ospitava l’imperial-regia stazione di posta e la locanda Schwarzer Adler di Josef e Maria Hofstätter, dove tutto ebbe inizio. In questi spazi, all’ombra del nostalgico campanile gotico (il più alto murato dell’Alto Adige), si trovano la cantina, gli uffici, un ristorante di proprietà oggi condotto da Marzia Buzzanca e dalla famiglia Baldo, e la sala degustazione, dove abbiamo potuto ripercorrere la storia del Pinot Nero Hofstätter in due verticali da brivido, in esclusiva assoluta per il nostro magazine. Con una premessa: “Qui noi non copiamo la Borgogna, ci lasciamo semplicemente ispirare da lei”, ci tiene a sottolineare Martin Foradori Hofstätter.
Le anime libere, del resto, sanno sempre dove guardare per trovare la loro stella polare.
Paolo Foradori
1935–2020