FEUDISTUDI, LA RICCHEZZA DELL’IRPINIA

Conoscere, evitare la semplificazione, omologare sempre meno varietà come il Fiano, il Greco e l’Aglianico; raccontare senza scorciatoie commerciali un terroir interessante come l’Irpinia, variegato, complesso con un potenziale enologico autentico.

Feudi di San Gregorio

Antonio Capaldo, Presidente di Feudi di San Gregorio, parla del profondo legame con la sua terra natia e delle sensazioni dalle quali ha preso forma nel 2011 il progetto FeudiStudi. Maturato dall’idea di dar voce a questo immenso patrimonio, il suo lavoro di approfondimento è legato a due sensazioni opposte: frustrazione e consapevolezza. La frustrazione per la crescente semplificazione commerciale che chiede uniformità e spesso impone di assemblare uve e varietà, vanificando troppo spesso il grande valore di singole vigne, o di piccoli appezzamenti che raccontano l’altissima qualità del territorio. Consapevolezza per quello che l’Irpinia è: cuore verde della Campania, melting pot di parcelle, esposizioni, altitudini, pendenze e suoli, ma anche di tradizioni vinicole e di uomini cresciuti nelle memorie e nei costumi consolidati nel tempo. L’intuizione che diventa uno studio di ricerca con finalità didattiche, della comprensione di quanto quotidianamente si stringe tra le mani.

Paolo De Cristofaro

La biodiversità è qui certamente rappresentata da oltre 300 ettari divisi in 700 parcelle e piccoli vigneti nascosti tra boschi e ulivi secolari. Taurasi con il suo Aglianico, Avellino con il Fiano e l’areale di Tufo con il Greco rappresentano un plusvalore straordinario, la non omogeneità, con l’immensa banca genetica da proteggere e salvare. La sfida di Feudi, il grande lavoro ad oggi senza alcuno sbocco commerciale, è l’opera digitale in 4 volumi realizzata da Paolo De Cristofaro.

Antonio Capaldo e Pierpaolo Sirch

FeudiStudi è un lavoro aperto” afferma Antonio Capaldo “questo perché, al di là dei fattori naturali, un grande terroir è costruito intorno ad una grande comunità di cantine. Un’opportunità per il territorio che nasce proprio dal confronto con altri produttori, un’occasione per ampliare la conoscenza sempre meno frammentata”. Pierpaolo Sirch, Responsabile di Produzione, racconta di come in questo percorso abbia incontrato i più fieri contadini irpini, conosciuto le loro famiglie e bevuto i vini di casa. “Si raccontano sorso dopo sorso” ricorda “e ogni bicchiere è una storia, simile a un’altra eppure sempre diversa”.

Meno di 2000 bottiglie per ogni annata e ogni singolo toponimo in una bottiglia che è la riedizione delle bordolesi del XVII secolo. Il primo cru di Taurasi nel 2011; nel 2012 le ulteriori single vineyard di Fiano, Greco e Aglianico, tutti fatti alla “stessa maniera” per far emergere le specifiche caratteristiche di ciascun toponimo alla scoperta di profumi e aromi quasi scomparsi dalla memoria gustativa. Ogni etichetta rappresenta una località o menzione topografica, areali e vini in un territorio antico la cui ricchezza si poggia su viti centenarie e suoli vulcanici, su vette montuose che arrivano fino a 1800 metri e su forti escursioni termiche in un clima straordinariamente continentale e nordico sebbene la posizione geografica sia così a sud.

Taurasi DOCG Rosamilia, Comune di Castelfranci, toponimo Vallicelli, annate 2012, 2014, 2016 e Taurasi DOCG Candriano, Comune di Castelfranci, toponimo Baiano, annate 2012,2014,2016 sono le espressioni di Aglianico provenienti dall’areale di produzione dell’Alta Valle del Fiume Calore, quadrante Sud Est. Gli assaggi, che colgono il frutto ben definito e croccante, le stratificazioni di spezie, confettura, florealità, sapidità, mineralità, confermano quanto ampiamente descritto del secondo volume di FeudiStudi: Vigneti e vigne Vol 1 e 2. “È praticamente impossibile confondere nel sorso un aglianico di Montemarano, Castelfranci o Paternopoli con quelli di qualsiasi altro comune dell’areale. C’è regolarmente uno stacco a loro favore in termini d’intensità glicerica, energia sapida, nerbo verticale, potenza tannica, profondità tridimensionale: senza dubbio i Taurasi più ostici da approcciare in gioventù, ma capaci di regalare vere emozioni nel lungo e lunghissimo periodo. Meno schematizzabile è invece il loro carattere aromatico. In linea di massima sono vini dal frutto ben maturo, talvolta in confettura o con accenti ‘spiritosi’, spesso corredati da ricche sensazioni speziate ed empireumatiche. Non mancano tuttavia espressioni più fresche edariose, che portano in primo piano timbri di frutto chiaro, agrumi, balsami: suggestioni per molti versi ‘nebbioleggianti’, via via più evidenti con l’affinamento in bottiglia. Ma è soprattutto il rigoglioso scheletro minerale a disegnarne il temperamento olfattivo. A volte piuttosto ‘scuro’ e terroso (humus, grafite, incenso, carbonella), in altri casi decisamente più marino e silvestre (iodio, battigia, resine)”.

Una descrizione che parafrasa il parallelismo con il Piemonte e che lo riconosce come il Barolo del Sud. Definizione impegnativa da portare sulle spalle, ci si augura favorevole: in qualsiasi caso meglio bersene un calice.

 

 

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