“MAI INVANO, SEMPRE IN VINO!”
La mia prima volta a Château du Clos de Vougeot correvano i Grands Jours de Bourgogne, inutile citare l’anno, tutto fluisce troppo velocemente. L’emozione non fuggiva mai via però, restava lì, acquattata negli anfratti del mio essere. Riemergeva ogni volta che mettevo piede in quel monumento storico, costruito nel XII secolo dai monaci cistercensi con quelle vigne tutt’attorno, sparse per cinquanta ettari, accorpate nel corso dei secoli. Le particelle miracolo della quantistica hanno vibrato di pura energia il giorno in cui sono stata intronizzata Chevalier dalla più antica istituzione del vino, la Confrérie des Chevaliers du Tastevin.
E quando il Gran Maestro Vincent Barbier attorniato dal Gran consiglio mi ha appoggiato il ceppo di vite prima sulla spalla destra, poi sulla sinistra dicendo: “Per Noè padre della vigna, per Bacco dio del vino e per San Vincenzo, patrono dei vigneron, noi ti armiamo Cavaliere del Tastevin” mi sono sentita molto onorata ed emozionata.
Oggi la Confrérie conta circa 12.000 membri in tutte le nazioni, fra i quali ambasciatori, accademici, artisti, giornalisti, scrittori, produttori. Eppure, lo dico sottovoce, sono stata la prima giornalista donna italiana specializzata in enogastronomia a essere intronizzata in ottantaquattro anni di storia. Le investiture sono volutamente in numero limitato perché la selezione è severa e privilegia il merito quanto il talento, onora il coraggio e il rispetto per le tradizioni e i valori umani, oltre all’amore e alla conoscenza profonda del vino francese e borgognone in particolare. Ogni postulante viene valutato con attenzione, scandagliato nella sua professionalità e poi, se ritenuto adeguato, viene investito del cavalierato.
Mi hanno nominato cavaliere durante il “Capitolo del gusto e della gastronomia”. L’impressivo rituale, seguito dalla consegna del Tastevin e dalla firma nel libro dell’ordine, ha visto la presenza di seicento persone provenienti dai quattro angoli del mondo.
Dopo la toccante cerimonia, tutti a cena. Sei ottime portate (cucinare per seicento persone non è uno scherzo), abbinate con vini borgognoni. Sul palco si alternavano discorsi importanti (era l’anniversario della firma dell’armistizio della Grande Guerra) tenuti da generali e ammiragli e personalità di spicco provenienti da vari Paesi a calembour, a canti dei Cadetti di Borgogna (ognuno di noi aveva il proprio libretto con tutte le canzoni), a spettacoli divertenti imperniati sul vino. Ogni tanto a riscaldare gli animi l’inno della Borgogna, le ban bourguignon.
Il vino viene celebrato qui non solo come “liquido divino” ma esaltato nel suo proprio linguaggio universale di fraternità, capace di accumunare gli uomini nel cantare la gioia di vivere, nel segno dell’equilibrio e del senso della misura
In alto i calici, al motto della Confrerie: “Mai invano, sempre in vino!”.