TORRACCIA DEL PIANTAVIGNA, FARO DEL GHEMME

Nell’osservare l’evoluzione di una cantina vitivinicola non si possono non prendere in considerazione tutti quegli elementi (siano essi esogeni che endogeni) che nel tempo hanno non solo contribuito a fissare nell’immagine collettiva il marchio, ma ne hanno fortificato le radici. Torraccia del Piantavigna si può pensare come a una realtà rimasta attaccata a quel suo primo ceppo di vite piantato negli anni Cinquanta da Pierino Piantavigna. Che nel suo cognome, Piantavigna, guarda caso, trova il suo destino. Torraccia, invece, prende il nome da un vocato vigneto a forma circolare, in cui la presenza della antica torre del castello ha indubbiamente contribuito ad ispirarne il nome.

Originario della Valtellina, Pierino tra le “valli dei distillatori” era tra quei grapat, i grappaioli, che iniziarono a spingersi fuori confine, fino a raggiungere il Piemonte. Scelse Ghemme per iniziare il suo percorso vitivinicolo, non distante dal Castello di Cavenago, visibile anche dalla collina che ospita l’antica torre di Gattinara, dove l’azienda acquisterà circa quattro ettari più tardi nei vigneti Lurghe e Gerbidoni per aumentare la produzione di vino: Ghemme e Gattinara, due vini apprezzati dagli Sforza e dai Savoia, ricercati nelle enoteche e ristoranti di Milano, entrambi D.O.C.G. nel 1990 e 1997 affiancati in seguito da Erbaluce e Vespolina. E, volendo aprire una parentesi, Ghemme, con i suoi attuali 50 ettari rivendicati avrebbe un potenziale ben maggiore stando alla superficie vitata, maggiore rispetto a quella di Gattinara (100 ettari ca). C’è da ben sperare dunque in un maggior coinvolgimento e interesse del mercato nei confronti di questa denominazione.

Tornando a Torraccia del Piantavigna, il trasporto per le grappe e per la distillazione, convincono Alessandro Francoli, nipote di Pierino non solo a continuare la produzione di vino anzi a rilanciare l’azienda tutta: nel 1997 si avvia un ciclo nuovo fatto di una nuova organizzazione dei vigneti e in cantina. I risultati non tardano ad arrivare: Torraccia del Piantavigna riceve il premio Eco-friendly del Touring Club Italiano nel 2014, nel 2017 e nel 2018. Sono gli anni in cui la famiglia Francoli decide di far entrare in società la famiglia Ponti (proprietaria dell’azienda di aceti per intenderci) anch’essa originaria di Ghemme. Un Alto Piemonte che, a guardarlo bene, non manca di un tessuto di imprenditori illuminati come i nostri due protagonisti che tengono a tutelare la storia della viticoltura delle Colline della Sesia passando inevitabilmente dal racconto di quello a noi noto come il supervulcano fossile.

A differenza di Gattinara i suoli di Ghemme sono generalmente più argilloso-calcareo e di origine fluvio-alluvionale e qui, nel corpo vitato di 8 ettari acquistato nel 2005, l’azienda ha piantato Nebbiolo a ritocchino, distese di filari ben visibili tra i boschi dal paese della cantina e fin dall’autostrada, per chi arriva da Torino. Siamo in zona Ronco dell’ulivo, alla sua sommità, il vigneto Pellizzane di circa un ettaro a 350 metri di altitudine, rappresenta senza tema di smentita il cuore pulsante dell’azienda dal quale si produce una riserva, un vino che racconta il potenziale indiscutibile di invecchiamento dei vini dell’Alto Piemonte. Si presenta con tutti gli elementi necessari per essere grande: inizia a raccontarsi con le sue parti di carnosità e potenza spinta da una grande e sensazionale acidità che culmina in un ritorno fruttato e un tenue finale di tè speziato; poi nuvole di colori, strati che fanno viaggiare il gusto, elevandolo, ad un stato tridimensionale. Concentrato, serrato, sullo sfondo arriva una folta trama di tannini che sorregge componenti materiche non del tutto precise e che, proprio per questo motivo (come lo sguardo da una crepa, una fessura), confermano una matrice solida e tonica, di grande volume. Arriviamo al finale: iodato, saporito, appagante.

Nei 35 ettari di proprietà l’azienda produce anche un Ghemme più classico, che beneficia comunque almeno di un anno di affinamento in vetro prima dell’immissione nel mercato. Con la 2013, annata che, nonostante l’incertezza iniziale data dal germogliamento tardivo, si manifesta con un profilo aereo di grande finezza, potenza espressiva, note di geranio, rosa secca, viola. Colore compatto, giovanile, fruttato e rinfrescante, la beva è in grado di foderare il palato regalando ampiezza e ritorni floreali. Prodotto con Nebbiolo 90% e Vespolina 10%, affina per 36 mesi in rovere francese.

 

 

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