TAKESHI IWAI, POTENZA E DELICATEZZA DI AALTO
Succedeva già qualche anno fa. Tra le mura di una cascina, a Gaggiano, che sapeva di antiche maniere agricole e di lente gestualità contadine, andava in scena uno spettacolo insolito. Il legno scuro e lucido delle cassettiere, la trama bianchissima delle tovaglie e l’intonaco giallo delle pareti – come si confaceva alle corti della provincia meneghina – assistevano alla sfilata di piatti mai visti prima. Quegli antichi mobili si sono spesso impregnati del profumo delle erbe raccolte nei campi circostanti, e non si contano più le volte in cui i prodotti delle cascine limitrofe venivano acquistati, cucinati e consumati presso quei tavoli. Eppure, qualcosa di particolare, stavolta, c’era, perché tutte quelle materie prime assolutamente campagnole venivano lavorate, assemblate e fatte rinascere in una forma sfrontatamente diversa dal solito. Ad osare tanto era una mano sottile, strumento di un uomo che si rivelava nel suo sorriso solare e delicatissimo insieme, uno di quelli capaci di mostrare una certa potenza dentro la docilità di una carezza. Lui era Takeshi Iwai, lo Chef di origine giapponese che sapeva elevare ad armonia qualunque alimento gli passasse fra le mani.

Takeshi Iwai, Chef di Iyo Aalto
Il suo intento era chiaro: raggiungere l’apice del gusto esaltando la materia prima di cascina attraverso una cucina di matrice giapponese. Ma, in realtà, c’era molto di più. Quello che incantava di Takeshi era la creatività senza limiti. Sembrava quasi di vederla o di toccarla, se non addirittura di respirarla, nella sua leggerezza e nella sua capillarità. Il tutto, con quella discrezione che lo rende ancora adesso uno Chef, seppur stellato, dalla delicatezza estrema.
Takeshi è oggi lo Chef di Aalto, seconda insegna stellata del Gruppo Iyo fondato da Claudio Liu, a Milano. Le mura fra cui Takeshi concretizza le sue idee, oggi, si vestono di uno stile diametralmente opposto a quello della cascina di Gaggiano, e si affacciano non più sul Parco Agricolo Sud ma bensì sulla modernissima Piazza Alvar Aalto, a pochi passi da Piazza Gae Aulenti. Lui, però, è sempre lo stesso talento fine, il medesimo instancabile uomo creativo.
Alcuni piatti collaudati a Gaggiano sono tutt’ora una sua vera e propria firma, come l’Anguilla, tataki di manzo e liquirizia o gli Spaghetti alla tsukemen. Altri invece sono piatti nati fra le cucine spettacolari di Aalto, come il Risotto allo zafferano, granchio e limone, la Sella di agnello, polpo-bushi, bergamotto-kosho e daikon oppure il Raviolo aperto di alga kombu, verdure e yuba, leggerissimo nella struttura e profondissimo nel gusto. Sono piatti che hanno la capacità di sorprendere e che sanno giocare ora con l’intensità ora con le sfumature più lievi, regalate alla percezione dei palati curiosi e desiderosi di perdersi in un’evoluzione di gusto continua. La passione enorme che Takeshi riversa nel suo mestiere di cuoco è evidente da ogni piatto. C’è qualcosa di tenerissimo, che appartiene alla cura e alla dedizione, nella minuziosità dei dettagli.

Anguilla, tataki di manzo e liquirizia
L’atto creativo di Takeshi è talmente coinvolgente che sconfina nella partecipazione attiva del commensale alla composizione del piatto. A lui infatti spetta il compito, in certe preparazioni, di assemblare le varie parti, fino a stabilire il gusto finale, differente per ognuno. È il caso proprio degli Spaghetti alla tsukemen, in cui uno spaghetto cacio e pepe con ostriche-bushi grattugiato viene intinto in un brodo di anguilla in saor e addizionato, a piacimento, di olio di pino e ginepro, guancia di maiale e olio al caffè, sedano e lime-kosho preparato secondo la tecnica utilizzata per lo yuzukosho. La scelta del commensale diventa quindi l’ultima parola del piatto, come accade nella complicità di chi completa la frase proferita da qualcun altro.

Spaghetti alla tsukemen
La cucina di Takeshi ha poca definizione, perché la sua creatività viaggia lontana, esattamente come lui, che approdò in Italia giovanissimo decidendo di restarci e di tracciare, proprio qui, il solco della sua formazione di Chef. L’origine delle sue materie prime è varia e lo è anche la tecnica di cucina che applica a uno o all’altro ingrediente. Quello che tiene le fila di tutto è la sua sensibilità, che gli permette di vedere le cose per ciò che ancora non sono. Sarà forse merito del suo passato poliedrico, che lo ha visto cimentarsi dapprima con gli studi universitari in economia, poi con quel mondo che assecondava i suoi desideri, la cucina.
Le esperienze che lo hanno formato sono moltissime, e probabilmente non sono da confinare esclusivamente ai fornelli. Takeshi attinge da tutto quello che gli accade intorno, perché tutto, per un creativo, è fonte di stimolo, quasi fosse un pungolo. Nulla, per un creativo, ha più il profilo della quiete, nulla ha più il peso della stasi, nulla possiede più contorni rigidi. Tutto, al contrario, vive di un respiro, che depone definitivamente la pigrizia delle definizioni imposte o del luogo comune, liberando le cose e guardandole solo come una immensa possibilità.