DAKHLA, L’ULTIMA FRONTIERA

È da poco passata la mezzanotte quando atterriamo nel piccolo ma attrezzato aeroporto, situato proprio al centro della cittadina di Dakhla. Una leggera brezza rinfresca l’aria trasportando il profumo del mare. Rashid impeccabile nella sua camicia stirata, ci accoglie con la sua potente jeep. In breve, siamo già in viaggio lungo la litoranea che segue la linea costiera dell’immensa penisola, da una parte l’acqua della laguna che, a quest’ora, è al suo massimo livello, dall’altra le onde perenni dell’oceano Atlantico. Dakhla, l’ultima importante città marocchina prima della frontiera con la Mauritania, 400 km più a sud, sorge all’estremità dei 40 km della penisola sabbiosa, quasi sulla linea del Tropico del Cancro. È diventata, specialmente negli ultimi anni, la mecca del kite surf e del surf, oltre che un luogo di meditazione e di autentica magia per gli amanti del deserto.

Caravan Dakhla

Io, che faccio parte dei cultori degli “spazi aperti”, ho subito accettato di scoprire questa terra sospesa tra cielo, mare e sabbia. “Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore” diceva Audrey Hepburn e, in questo viaggio, ho messo tutto il cuore per scoprire nuovi sentieri, quelli che per Franz Kafka si costruiscono solo viaggiando.  A venticinque chilometri dalla cittadina arriviamo nella nostra oasi di benessere, il nuovissimo ed elegante resort Caravan Dakhla, perfettamente inserito nel contesto ambientale e con un’anima assolutamente green, sia per la costruzione realizzata solo con materiali naturali, che per la filosofia che promette esperienze coinvolgenti con la natura attraverso l’avventura, lo sport, il food e il benessere.  Non ho sonno e, nemmeno Elisabetta e in breve siamo seduti sulla soffice e fresca sabbia ammirando la magica volta stellata che incombe su di noi. Nessuno parla perché, come afferma un proverbio arabo, “Il frutto della pace è appeso all’albero del silenzio”, una pace profonda ed intima che cattura la fantasia e sa decisamente d’Africa.

La bellezza del luogo la si percepisce pienamente alle prime luci dell’alba. Il resort è immerso tra collinette di sabbia e roccia ed il mare, l’unico richiamo alla realtà è il nastro d’asfalto che abbiamo percorso arrivando. Siamo già sulla potente jeep di Rashid seguendo la strada che, dalla penisola, prosegue lungo la costa in direzione sud, superando la foce del Rio de Oro. Molti i lavori di ampliamento della careggiata, dal momento che, nei progetti futuri della dinastia Alawide, con l’attuale sovrano Mohamed VI, “l’Amir al Mu’minim, ovvero il Comandante dei credenti”, Dakhla dovrà diventare uno dei più importanti porti africani, al pari di Tangeri Med sul Mediterraneo.

Il deserto è la nota immutabile del panorama, di tanto in tanto basse costruzioni e piccoli ristori punteggiano il nastro d’asfalto molto frequentato dal traffico commerciale da e per il Sahel.  La nostra meta è la spiaggia di Puerto Rico, un fazzoletto di sabbia bagnata da un mare di giada. Il caldo opprimente è mitigato dal vento che a tratti diventa sferzante, ma nessuno vuole nuotare, anche per il mare non certo piatto. Meglio rientrare e ripararsi nelle acque più calme della laguna, mentre la bassa marea inizia a scoprire infinite distese di sabbia compatta.

È Ismail ad accoglierci alla reception di Dakhla Attitude, il punto di riferimento più importante per il kite surf e windsurf. Qui si concentrano decine di appassionati, sia principianti che grandi campioni, ognuno intento nelle proprie attività. In effetti, in cielo sfrecciano decine di vele colorate che creano uno spettacolo davvero originale. Anche per noi è pronta tutta l’attrezzatura per provare l’emozione del primo balzo in kite surf, con Ismail come nostro speciale “moniteur”. Credo che il nostro amico ci sia rimasto male quando il sottoscritto, purista della meditazione, ha declinato gentilmente l’offerta, Elisabetta ha optato per una più tranquilla passeggiata sulle distese di sabbia affiorate con la bassa marea, in compagnia di miglia di piccoli e impauriti granchi e Rafie, con la scusa di verificare se le aragoste da grigliare per il pranzo erano fresche, si era dileguato abilmente. Inutile dire che le aragoste erano freschissime, così come le ostriche servite al naturale o, con l’aggiunta di una salsina a base di limone, soia e spezie.

Non a caso le ostriche di Dakhla sono tra le più rinomate ed esportate in tutto il paese e in Europa. Nella laguna, nei pressi della cittadina, si trovano i vari stabilimenti di produzione, con l’interminabile rosario di filari in cui le ostriche, da quando nascono a quando arrivano nel piatto passano oltre un anno.

Dopo un pranzo indimenticabile, non può mancare un’escursione alla vicina Dragon Island al centro della laguna. Il nome deriva dalla sua forma che, in lontananza, assomiglia proprio a un drago assopito. Ci vogliono una quindicina di minuti per arrivare alla meta e camminare nell’acqua bassa cristallina. L’isola è un santuario per gli uccelli ed è famosa per le lunghissime spiagge di sabbia finissima. Ci fermiamo sotto il sole ad ammirare il paesaggio mentre lontano le vele dei kitesurf disegnano geometrie nel cielo blu cobalto. “La marea sta salendo” borbotta Rashid, “non posso avvicinarmi alla duna con la jeep”. “Sì, lo vedo ma ci voglio andare anche a costo di nuotare”. La “Duna Bianca” è la, a un chilometro di candida sabbia che, poco alla volta l’acqua ricopre. Camminiamo a passo deciso prima all’asciutto poi, con l’acqua alle caviglie ma, ormai la duna è vicina, ancora pochi metri e vi saremo sopra. Saliamo sulla sua sommità dirigendoci verso la sua parte meridionale, dove la parete scende verticalmente nell’acqua formando un semicerchio quasi perfetto. E li che ci sediamo a guardare incantati il paesaggio. Meraviglioso, inusuale, primitivo.

Il giusto compenso per aver osato. La sabbia finissima mi scivola tra le mani lasciandomi in dono solo qualche granello, in quel momento il miracolo si compie, mi sento in pace con me stesso e con il mondo, in sintonia perfetta con l’antico proverbio arabo che dice: “Non arrenderti. Rischieresti di farlo prima del miracolo”.

È ora di ritornare sui nostri passi, l’acqua ora arriva alla cintola e la corrente è più forte ma finalmente con un po’ di affanno raggiungiamo la terra ferma e Rashid che, nel frattempo, aveva allertato una barca di passaggio. La sera, tra un trionfo di ostriche e dell’ottimo vino bianco Val d’Argan, prodotto nell’entroterra di Essaouira, da Charles Melia un viticultore francese trapiantato da oltre 20 anni nell’antica Mogador, ripercorriamo la giornata memorabile. Ma le sorprese non finiscono perché il giorno dopo siamo di nuovo in esplorazione. Tra rocce, pinnacoli, dune, avvallamenti e speroni rocciosi c’è il meglio del campionario desertico. La pista scompare tra le dune, ma Rashid sa dove andare. Lui è un Sahrawi (sahariano, abitante del deserto) e queste lande sono casa sua. Se hai una meta anche il deserto diventa una strada”, ripete come un mantra. Corriamo tra il letto della laguna, per il momento asciutta, e la frastagliata orografia che la circonda. La meta che Rashid ci vuole regalare e un ripido sperone roccioso da cui lo sguardo spazia sulla laguna e sull’intera penisola. Un cippo di pietre ammucchiate indica che siamo in capo al mondo. Un mondo di magia e contemplazione reso mitico dalla lunghissima duna di sabbia che dalla sommità dello sperone continua verso il mare per centinaia di metri. La percorriamo sino al bagnasciuga, corro affondando il piede nudo nella sabbia calda.  Spicco metaforicamente il volo, lasciando che gli alisei riempiano le mie vele e “che i miei sogni non abbiano frontiere” come affermava Che Guevara. Questo è il segreto dell’ultima frontiera.

 

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Photo credits Mauro Parmesani