I VINI DEL ROERO DI GIANFRANCO CORDERO

“Ogni uomo ha un progetto personale” diremo sulla porta della cantina. Non avevo mai pensato a lui come un vigneron. Nella mia testa non lo avevo mai immaginato in un vigneto, a potare, o in cantina, a travasare o a versarmi il vino appena spillato col “ladro”.

Gianfranco Cordero è uno dei più grandi enologi che io conosca. Un tecnico, una persona che ama scandire il frutto e lasciarlo libero di vivere il suo corpo rispecchiando però l’energia del suolo e la sua esposizione. Un’interpretazione produttiva che mette sotto la lente gli aromi primari dell’uva vinificata e la gerarchia degli elementi che non possono mancare in un determinato vino, di un determinato luogo. Una rappresentazione dunque efficace e che prevedere sempre un po’ di tensione, di freschezza. Ricerca la sapidità. Ascolta il mercato, e mette in rapporto gli elementi che ha tra le mani. Anche quelli umani. I suoi vini non sono fatti a sua somiglianza. “Dovrebbe essere il lavoro del consulente” diranno altri. Senza dubbio è così, e quando si parla di Gianfranco Cordero si è dinanzi a un tessuto più profondo e composito, fatto di comprensione e complicità con il vino e tutto quello che gli sta attorno. E lo scoprire che in quel di Priocca da qualche anno, assieme ai figli Serena e Gabriele, ha avviato una personale produzione di Roero e Barbera, sotto il nome di Gabriele Cordero, certifica e rende più decifrabile quel suo genio artistico sin qui raccontato. L’azienda rientra nella classificazione delle boutique winery, dai primi cinque ettari di proprietà ereditati se ne sono aggiunti tre, tra Priocca e Vezza d’Alba. Si è curiosi, è quindi si pianta in qualche parcella Riesling e Timorasso, quest’ultimo già prodotto nel 2020. In cantina si usa cemento, acciaio, qualche barrique e botti grandi.

Gabriele e Serena Cordero

Il contributo di Serena in vinificazione è fondamentale, soprattutto quando si tratta di decidere cosa fare della piccola vigna di appena due ettari e mezzo del nonno Teresio esposta a sud-ovest e reimpiantata nel 2013. “È terra ideale per la Barbera”.

Da qui, nascerà il vino diventato oramai quello di punta dell’azienda: Hica, italianizzazione di “figlia” in lingua spagnola. Una scommessa per la giovane enologa Serena, che ha immaginato la produzione di questo rosso quando era in Argentina, dove si occupava di un progetto sul Malbec con l’Università degli studi di Torino prima di affiancare il padre nell’attività di consulenza. Nella piccola vigna di appena 2,5 ettari, si cerca di impattare poco il terreno, tra le piante a gujot e cordone speronato si selezionano e raccolgono un po’ prima della vendemmia delle uve per un pied de cuve; fermentazione spontanea con acino interno in acciaio, malolattica in barrique di qualche passaggio per quasi un anno. Ne deriva un vino dolce, armonico, pieno, fruttato, deciso e con una vena più salace sullo sfondo. Quindici gradi di alcol non percepiti grazie a un equilibrio assoluto.

L’etichetta è coloratissima e anch’essa pensata. I colori cambiano in base al millesimo, al centro ecco la luna e il colibrì, animale sacro importante in agricoltura e che veglia sui filari. Della stessa stoffa è anche la Barbera 2020, prodotta in una vigna a Priocca della nonna, ricca di zone tufacee, prodotta in solo acciaio per esprimere tutta la sua pulizia e con definizione un succo polposo, viscoso e di piacevolissima freschezza.

E poi c’è il Roero Arneis Innav 2020 – dedicato nonno Vanni – che si sviluppa già al naso con evidenti note agrumate, citrine e intense accompagnate da note di erbe officinali e salvia. Un sorso di grande rotondità e coinvolgimento. Chiude il cerchio il Langhe Nebbiolo Fuschìa 2020, un tipico e ineludibile nebbiolo che conquista per dinamicità, croccantezza e tanta serbevolezza.