PAUL PFEIFFER. PROLOGO ALLA STORIA DELLA NASCITA DELLA LIBERTÀ
Il Museo Guggenheim Bilbao presenta Paul Pfeiffer: Prologo alla storia della nascita della libertà, la più grande mostra dell’artista in Europa, con una selezione di circa trenta opere che percorrono l’intera carriera di uno degli artisti più influenti di oggi. Paul Pfeiffer è nato a Honolulu, Hawai, ha trascorso l’adolescenza nelle Filippine e dal 1990 vive e lavora a New York. Tra le mostre personali allestite nei musei, spiccano The Athenaeum, Athens, Georgia, 2023; Inhotim Institute, Minas Gerais, Brasile, 2018; Bellas Artes Outpost, Manila, 2018; Museum of Contemporary Art Chicago, 2017; Honolulu Museum of Art, 2016; Museum of Contemporary Art and Design, Manila, 2015; Artangel, Londra, 2014; Blanton Museum of Art, Austin, 2012; Sammlung Goetz, Monaco di Baviera, 2011; Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, Berlino, 2009; MUSAC León, 2008; National GalleryUtilizzando una pratica multidisciplinare, che spazia tra video, fotografia, scultura e installazione, pone questioni legate allo spettacolo, all’appartenenza e alla differenza.

Paul Pfeiffer, Portrait (photo credits Joey Trisolini)
Noto soprattutto per i suoi video incisivi con immagini tratte da un mondo saturo di media, Pfeiffer analizza il modo in cui le immagini modellano gli spettatori che le consumano. Come spiega lui stesso, “si pone sempre la stessa domanda: chi usa chi? È l’immagine a costruire noi o siamo noi a costruire le immagini?” Fin dall’inizio della sua carriera, più di 25 anni fa, Pfeiffer ha utilizzato vecchi software di editing digitale, come Photoshop e QuarkXpress, per manipolare brani registrati di eventi sportivi, concerti e film di Hollywood. Attraverso l’atto iterativo di tagliare, unire, mascherare e clonare, le sue opere rivelano le strutture che hanno modellato la memoria collettiva, le sue paure e i suoi desideri repressi, anticipando al contempo l’attuale circolazione di massa di brevi videoclip e GIF.

Paul Pfeiffer, The Pure Products Go Crazy (still), 1998
Le sue ricerche sulle dimensioni percettive e psicologiche dell’esperienza collettiva lo hanno portato ad analizzare come gli stadi e i palcoscenici, dall’antichità ad oggi, siano stati usati non solo come piattaforme per grandi spettacoli, ma anche come luoghi in cui viene definito e messo in discussione il corpo politico (di una nazione, di una comunità, di una società). Icone mondiali come popstar, attori e atleti sono spesso le figure più familiari nelle opere di Pfeiffer, in cui i corpi sono situati nell’intersezione tra l’adorazione e la cosificazione alla base della cultura di massa. Questo uso della cultura delle celebrità richiama anche la diffusione e il consumo globale delle immagini. Il suo lavoro mostra il modo in cui il nostro senso di identità, di comunità e talvolta di nazionalità è plasmato dai meccanismi legati al pubblico, dagli spazi architettonici alla ritrasmissione o post-produzione di immagini. Ricreando o rimettendo in scena esperienze comuni in cui le emozioni sono esacerbate e l’individualità è rimossa, l’artista dimostra come questi eventi inducano sentimenti di appartenenza e di identità, evidenziando al contempo le questioni sempre presenti della differenza e dell’alterità.

Paul Pfeiffer, Four Horsemen of the Apocolypse (2007)
I cambiamenti di scala che Pfeiffer inserisce nelle sue creazioni, le cui dimensioni vanno dalla miniatura all’enormità, destabilizzano il rapporto “naturale” predeterminato tra pubblico e oggetto, rendendoci consapevoli del nostro corpo in relazione al resto del mondo e della natura costruita delle informazioni che consumiamo. Perciò i primi lavori in video e fotografia, che hanno definito un’intera epoca, richiedono una contemplazione intima e ravvicinata, mentre gli ultimi esperimenti di scultura e installazione generano incontri colossali e immersivi. Ispirato all’architettura temporanea di uno studio di registrazione, il progetto espositivo si basa sull’interesse dell’artista per il complesso processo di produzione cinematografica di Hollywood. In tutto il suo lavoro, Pfeiffer fa riferimento al cinema e alla macchina da presa come strumento, spesso richiamando scene iconiche impresse nella nostra memoria collettiva. Il titolo della mostra, Prologo alla nascita della libertà, allude a un momento cruciale nella storia dell’entertainment americano: il discorso introduttivo di Cecil B. DeMille al suo colossal I dieci comandamenti, la più costosa produzione cinematografica mai realizzata al momento della sua uscita, nel 1956.

Paul Pfeiffer, Morning After the Deluge (still), 2003
Grazie alla propria esperienza di vita, Pfeiffer (la cui infanzia è trascorsa tra le Filippine e gli Stati Uniti) è un artista con una prospettiva più ampia e transnazionale sull’identità americana. Pfeiffer è profondamente impegnato nei confronti del contesto filippino e della sua singolare fusione di tradizioni razziali, religiose e culturali, segnate dall’eredità del colonialismo come ex colonia spagnola e poi dall’influenza statunitense, nonché dalla migrazione globale di manodopera in tempi più recenti. Queste stratificazioni temporali e storiche interessano non solo il suo lavoro nel corso della carriera, ma anche il suo posizionamento in relazione alla diaspora, la sua capacità di parlare di una costruzione più complessa dell’identità e di percepire una politica della visibilità plasmata dai mass media e dai meccanismi di costruzione dell’immagine, dai riti collettivi dell’intrattenimento e dello spettacolo, dalla cultura popolare e dagli aspetti condivisi e differenziali generati da questi processi.

Paul Pfeiffer, The Saints (2007)
La mostra inizia con le iconiche video-sculture di Pfeiffer della fine degli anni ’90 e dei primi anni 2000, che lo consacrano come pioniere della videoarte nell’era digitale. Alcune mitiche partite di basket sono il punto di partenza di Frammento di una crocefissione (secondo Francis Bacon) [Fragment of a Crucifixion (After Francis Bacon), 1999] e di Giovanni 3:16 (John, 3:16, 2000), mentre i famosi combattimenti di Muhammad Ali sono il soggetto della trilogia intitolata Il lungo conteggio (The Long Count, 2000–01). Diffuse da minuscoli monitor LCD e proiettori CPJ, che rappresentano un cambiamento di scala assoluto rispetto al modo in cui queste immagini vengono viste normalmente, queste opere illustrano il minuzioso processo di montaggio dei brani di registrazione, in cui Pfeiffer esegue una manipolazione fotogramma per fotogramma per rimuovere, mascherare e mettere in loop brevi videoclip. Realizzati con i programmi informatici appena lanciati all’epoca, questi primi lavori conservano alcune tracce della mano dell’artista e la presenza spettrale delle figure centrali. L’artista impiega tecniche semplici per rivelare tratti sottilmente critici, inerenti alla produzione di immagini e alla costruzione dello spettacolo negli eventi sportivi. Pfeiffer continua ad esplorare questi temi in opere recenti in video, quali Cariatide (Mayweather) [Caryatid (Mayweather), 2023] o I quattro cavalieri dell’Apocalisse (Four Horsemen of the Apocalypse, 2000-oggi). Quest’ultima è una serie di fotografie che ritraggono alcuni giocatori dell’NBA immortalati in gesti bizzarri e isolati dal campo: una presenza iconica davanti alla folla, come figure degne di culto in una santificazione mediatica. Nella mostra vi sono anche videoinstallazioni di grandi dimensioni, come La mattina dopo il Diluvio (Morning After the Deluge, 2003), in cui un software di motion-tracking è impiegato per riorientare la nostra prospettiva del paesaggio e dell’orizzonte, nonché i video live Cross Hall (2008) e Autoritratto come una fontana (Self-Portrait as a Fountain, 2000), in cui l’artista analizza il ruolo attivo, e spesso complicato, della telecamera nella costruzione di esperienze visive mediate.

Paul Pfeiffer, Cross Hall (2008)
Pfeiffer usa spesso una strategia artistica e concettuale di trasposizione di una serie di eventi e di momenti singolari della cultura popolare e dell’intrattenimento in altri tempi, in altre geografie, in altre razze e in altri generi. I santi (The Saints, 2007) è una ricreazione audiovisiva immersiva della finale della Coppa del Mondo del 1966 tra Inghilterra e Germania Ovest. In essa Pfeiffer reimmagina la mitica partita, in cui l’Inghilterra batté la Germania ai tempi supplementari per vincere il suo primo e unico titolo mondiale, in un’affascinante videoinstallazione multicanale. Per ricreare il paesaggio sonoro di questo evento calcistico, l’artista ha coordinato un migliaio di persone a Manila, che si sono riunite nelle sale cinematografiche per assistere alla storica partita di calcio. Per Pfeiffer, il suono della folla è uno degli elementi più significativi nella costruzione dell’esperienza collettiva e del senso di appartenenza. Sostituendo il tifo dei tifosi tedeschi e inglesi con le voci dei filippini, l’artista esplora il modo in cui il nazionalismo si manifesta in questi memorabili momenti di storia sportiva. Quest’opera evidenzia anche l’interesse di Pfeiffer per l’architettura dello stadio come luogo di culto di massa, concentrandosi sulla storia dello stadio londinese di Wembley, fulcro del calcio inglese, le cui origini risalgono alla British Empire Exhibition dei primi anni ’20. Lo stadio è stato completamente ristrutturato tra il 2001 e il 2007 con l’allestimento di altoparlanti e di schermi all’avanguardia: una trasformazione radicale che integra fisicamente lo spettatore nell’azione e amplifica l’esperienza emotiva della folla.

Paul Pfeiffer, Live From Neverland (2006)
Anche l’opera Dal vivo da Neverland (Live from Neverland, 2006) presenta la sonorità di una folla organizzata, in questo caso un gruppo di studenti della Silliman University nelle Filippine che recitano, parola per parola, un discorso televisivo di Michael Jackson. Esasperando la dissonanza tra individualità e collettività, Pfeiffer manipola i movimenti della bocca di Jackson per sincronizzarli con le voci degli studenti, sostituendo una singola voce con le armonie e le sfumature dell’insieme. In questo lavoro Pfeiffer continua la propria esplorazione del ventriloquismo e dell’imitazione, intricando gli sforzi semplicistici di costruire o comprendere la nozione di identità. Per questa mostra,

Paul Pfeiffer, Live From Neverland (2006)
Pfeiffer ha ampliato la serie Encarnador (Incarnator, 2018-oggi), in cui l’artista ha lavorato in collaborazione con una serie di “encarnadores”, cioè scultori di Sevilla, Betis Pampanga nelle Filippine e di Tlaxcala in Messico, noti per la produzione di sculture in legno di santi e figure religiose a grandezza quasi naturale destinate a chiese cattoliche e culto privato. Le opere di Pfeiffer sono modellate sul volto di Justin Bieber, trasformando l’idolo pop – recentemente dichiaratosi cristiano rinato – in un’incarnazione contemporanea di Gesù Cristo. La produzione di queste sculture rimanda alle rotte commerciali coloniali del XVI secolo, mettendo in risalto il lavoro e l’artigianalità alla base di tradizioni religiose secolari e i legami con la storia delle reti globali che persistono tuttora.

Paul Pfeiffer, Justin Bieber Torso (2018)
Pfeiffer è interessato alla creazione e alla manipolazione delle immagini trasmesse in televisione e fa quindi riferimento alla post-produzione a cui sono sottoposte le immagini prima di raggiungere i nostri schermi con i media contemporanei. Nell’opera Rosso Verde Blu (Red Green Blue, 2022), l’artista esplora lo stadio come uno studio televisivo, catturando l’orchestrazione di una partita di football universitario (uno dei culti di massa più popolari negli Stati Uniti) presso la Georgia University ad Athens (Georgia, USA). In questo lavoro Pfeiffer si concentra sulla “marching band” quale generatrice sonora e musicale dell’eccitazione della folla durante la partita, analizzando il funzionamento interno delle performance musicali attraverso dettagliate immagini dal vivo. Il montaggio dell’artista porta in primo piano la complessità di uno sport popolare basato in gran parte su una “alterità” razzializzata.
PAUL PFEIFFER
PROLOGO ALLA STORIA DELLA NASCITA DELLA LIBERTÀ
30 NOVEMBRE 2024/16 MARZO 2025
a cura di
Clara Kim e Paula Kroll
Guggenheim Museum Bilbao
Avenida Abandoibarra, 2
Bilbao
open
martedì/domenica, 10:00/19:00
guggenheim-bilbao.eus
Cover: Paul Pfeiffer, Four Horsemen of the Apocalypse, 2007 (dettaglio)