LA LEGGENDA DEI FRATI, PIATTI INDIMENTICABILI
Ci sono luoghi e momenti che non possono essere dimenticati. In essi troviamo un mix di fattori di fascino che razionalmente non siamo in grado di descrivere. È come se fosse un’alchemica ricetta in cui ogni ingrediente presente, autonomamente, condiziona e affascina. Nasce in noi un vorticoso rincorrersi di emozioni, ricordi, considerazioni e aspettative che, alla fine, trovano spazio nel cuore e nella mente.
Uno di questi è custodito, quasi segretamente, all’interno di quella Firenze meno nota che gli stessi fiorentini chiamo Diladdarno. Appena lasciato Ponte Vecchio invece di procedere su verso Palazzo Pitti e gli splendidi giardini di Boboli, più verso Sud, nelle vicinanze della casa di Galileo c’è Villa Bardini. Difficile comprenderne la bellezza e la storia se si percorre affaticati la salita di Costa San Giorgio ma se ci si ferma difronte nasce inevitabilmente un’attrazione quasi fatale.
Il palazzo imponente e austero è dei primi del Seicento. Una volta all’interno appare il curatissimo giardino che guarda l’Arno e gli Uffizi, la più bella vista di Firenze. Nelle scuderie, nei locali oggi completamente restaurati e ristrutturati, c’è un ristorante. È questo uno di quei luoghi che non possono essere dimenticati, per l’appunto.
È La Leggenda dei Frati, una Stella Michelin. In realtà La Leggenda non è nata qui, ci si è trasferita da Abbadia Isola, vicino Siena, dove Filippo Saporito, lo Chef, e sua moglie Ombretta Giovannini avevano immaginato un luogo in cui una sorta di legame tra sacro e profano aveva fatto innamorare molti avventori.
C’è da dire però che la loro capacità stilistica e una indiscutibile visione prospettica hanno saputo far nascere anche in questa nuova sede un’atmosfera ammaliatrice, complice il fascino delle numerose opere d’arte presenti nei locali. La luce che taglia le vetrate che danno sul giardino, illuminando i tavoli allestiti con cura maniacale, è perfetta per catturare il bianco delle pareti prima e rifletterlo poi negli spaziosi ambienti. Tutto funziona.
La sala è presidiata da un manipolo di giovani egregiamente guidati dall’ esperto direttore Jenson Nilappana Joseph e dalla Chef de Rang Dalma Velo. Le proposte sono ben studiate. Tutte rigorosamente ordinate dalla natura, dalla stagionalità. Lo Chef ha portato a Firenze la sua grande e lunga esperienza fatta anche di cura dell’orto, di profonda conoscenza delle materie prime. Con la moglie, infatti, ha condiviso da subito la necessità di selezionare attentamente fornitori e prodotti. Di portare la diligenza che le nostre nonne mettevano nel conservare, nel saper gestire la dispensa e le quantità. Da questa quasi ossessiva attenzione nascono menù mai banali.
La clientela trova sempre la possibilità di spaziare ampiamente. Questo deriva dalla capacità di proporre alternativamente piatti palesemente rivolti al territorio e alla tradizione come la terrina di fegatini, i cappelletti ripieni di erbe aromatiche o il piccione e quelli in cui entrano, invece, nuove modalità e materie prime di altri territori come la tartare e i gamberi rossi di Mazara. Se poi si è fortunati, ci si può imbattere in creazioni che prendono vita solo per i pochi giorni in cui la materia prima è disponibile.
In cucina, a curare le creazioni dello Chef, ci sono abili e giovani professionisti che hanno fatto esperienze importanti presso altri ristoranti d’eccellenza. Lo Chef de Cuisine Dario Messina e il Pastry Chef Gabriele Vannucci sono chiamati quotidianamente a plasmare ingredienti e idee, quelli che prendono il nome di ricette ma che invece non sono altro che l’interpretazione di sogni.
Sì, ci sono proprio luoghi e momenti che non possono essere dimenticati.