LA TÉA DEL KOSMO: L’ALTRA CASA DELL’ECCELLENZA

Il Mottolino è un microcosmo di eccellenza situato alle porte di Livigno: dentro l’edificio moderno, che qualcuno ha soprannominato “il Guggenheim della neve”, hanno sede un negozio di articoli sportivi con noleggio bici o sci e accesso all’impianto di risalita proprio, lo spazio co-working, un bar e due punti di ristoro che nulla hanno a che vedere con i due rifugi, di proprietà della stessa famiglia. Per primo è arrivato Kosmo Taste the Mountain, inaugurato nel dicembre 2021, che ha introdotto nella località valtellinese il concetto di gastronomia sostenibile di montagna, focalizzato sui prodotti del bosco o degli alpeggi. È seguito Téa del Kosmo (dove “tea” in livignasco sta per l’altra casa), forse il primo fine dining della zona. Una bomboniera da cinque tavoli che cita negli arredi in legno le atmosfere alpine, purtuttavia moderna e ricercata, dove l’asticella si alza decisamente.

Fin dal principio l’idea era quella di sviluppare in loco la filosofia etica di Norbert Niederkofler, fondata sul rispetto della natura. Ne sono capisaldi l’approvvigionamento rigorosamente in loco (al punto da escludere l’olio di oliva in favore dei vinaccioli), il rapporto personale con i produttori di montagna, generalmente bio e rispettosi del benessere animale, avvinti da relazioni di fiducia, la stagionalità delle materie prime e la lotta agli sprechi alimentari. L’altoatesino è stato quindi chiamato a fornire la sua consulenza, ma il filo rosso è anche nelle brigate, visto che l’executive Michele Talarico arriva da una lunga esperienza al St. Hubertus e i due svolgono spesso cene a quattro mani con la partecipazione dello chef di Brunico Mauro Siega, al fine di sintonizzarsi ulteriormente.

Norbert Niederkofler

L’ultima si è svolta il 12 settembre ed è stata l’occasione per constatare una messa a punto sempre più centrata. Dicevamo degli “scarti”, vedette di preparazioni monografiche come gli appetizer di finocchio e di gallina, un rocher cremoso come foie gras dove la granella si compone di pelle croccante. Di fatto alla Tea qualsiasi parte di un ingrediente rappresenta un’eccellenza da valorizzare. Fiori, steli, foglie, bucce, bulbi, semi, radici, pelli diventano il punto di partenza per viaggi entusiasmanti, giacché “lo spreco è il fallimento dell’immaginazione”.

Le brigate sono giovanissime (quella di cucina vanta una media di 22 anni, contro i 26 dell’Atelier Moessmer). A guidare la sala è Siria Fedrigucci, marchigiana che nella sua vita precedente, prima di sposare il titolare del Mottolino Marco Rocca, è stata cantante; mentre in cantina officia Giada Rosa, che proviene da un lungo percorso per enoteche e se la giostra abilmente con naturali e biodinamici d’alta quota, dalle Alpi all’Etna, osando nei pairing persino una birra analcolica. Dal canto suo Talarico, pugliese classe 1991, si è fatto le ossa a livello internazionale, da Sidney a Londra, passando per la Spagna, dove ha via via arricchito il suo bagaglio tecnico e la sua cultura gastronomica. Ma è stato al St. Hubertus, come accennato, che ha scoperto il valore sostanziale della sostenibilità, “una sfida che mi entusiasma”.

Ragazzi di fronte ai quali il pigmalione Niederkofler si emoziona. “Il loro è uno sguardo rivolto al futuro, ma che non prescinde dalla cultura che li ha cresciuti. Per Michele come per Mauro la conservazione del paesaggio e delle pratiche agricole di montagna sono le fondamenta per una cucina del futuro solida, ancorata alla terra e alle tradizioni secolari che li hanno preceduti. Personalmente vorrei staccarmi dalla prima fila e passare dietro, cedendo loro la ribalta”. È così che il suo tre stelle si sta trasformando in un think tank, dove si formano i giovani e si riflette sul futuro, cercando di trovare soluzioni alla sfida epocale di nutrire una popolazione mondiale sempre più numerosa.

Certo Livigno non è San Cassiano: sono montagne diverse, qui l’altitudine è maggiore e il gioco si fa ancora più duro. Se in Alto Adige la costruzione della filiera era durata quattro o cinque anni, con pianificazioni in largo anticipo, a Livigno la sfida è solo all’inizio, in particolare per quanto riguarda il vegetale, presente praticamente solo in estate, tranne verza e patate, più il foraging meteo permettendo. Attualmente proviene da Bormio, insieme a grani che vengono moliti in loco per le farine. Ma sta partendo anche un orto proprio, che mira ad assicurare in futuro l’autosufficienza.

Il resto è rabdomantica, romantica ricerca. “Ci impegniamo nel riscoprire e valorizzare varietà di montagna, dando voce a tutti quei contadini e agricoltori che, custodi di pratiche senza tempo, mantengono in vita i nostri paesaggi. Tra gli innumerevoli vantaggi di preservare l’agrobiodiversità territoriale, c’è la possibilità di proteggere saperi e competenze che sono cambiati nel corso degli anni. Questo know-how fa parte del patrimonio locale, la nostra funzione è tutelarlo per offrire una prospettiva alle generazioni future”, spiega Talarico.

I percorsi sono due: il primo legato a storie, viaggi, esperienze dello chef; il secondo vegetariano (ma solo in estate), dove ogni portata mette in scena un diverso ortaggio, sfruttato nella sua interezza. Durante l’ultima cena, il resident chef ha firmato per cominciare l’entrée di salmerino della Valmalenco frollato 15 giorni, rifinito con abete rosso, lampone fermentato, sambuco ed erbe di montagna, poi innaffiato con un’acqua di lattuga e radicchio funzionale allo scarto zero, che finisce per comporre uno stimolante ceviche amaro, nitido nella liquidità del contrasto.

È più di un divertissement la patata in forma di croissant, dai cui scarti si ricava una spuma di patata alla brace, mentre le bucce forniscono un fondo intensamente umami-driven, che ricostruisce la sensazione di un arrosto della domenica. Qui la sommelier abbina non senza coraggio la birra analcolica Classic di Freedl, che spezza la corsa dell’alcol su un piatto di passaggio. A chiudere il salato è la pecora di Livigno cotta a legna in vino rosso valtellinese e spezie, porzionata, marinata con kefir e altre spezie e finita alla brace, sul piatto con ricotta locale fermentata, per un ricordo amaro piccante di Puglia, e mostarda di pere, in modo da toccare tutte le sensazioni.

Era presenta anche Mauro Siega, che dopo l’alberghiero a Longarone ha compiuto le sue prime esperienze in Toscana; a seguire la Locanda Locatelli di Londra, un anno di Germania e Venezia, un ristorantino in proprio a Brunico, dove ha incontrato Niederkofler, due anni e mezzo di Australia e dal 2018 il St. Hubertus, con pause in un tre stelle francese e a Copenhagen, presso Kadeau e Noma. Norbert l’ha quindi richiamato, cosicché ha chiuso il St. Hubertus e aperto l’Atelier a Brunico.

Oggi è il suo braccio destro anche nelle consulenze, dove si diverte ad approcciare ingredienti differenti. A Livigno ha portato un pane al polline con burro estivo d’alpeggio; il risotto con zucca alla brace, cotto con brodo degli scarti e servito con melassa dei succhi, olio dei semi in estrazione a secco, crema di latte di asina e formaggio di capra per la leggera acidità; quale dessert “pane e formaggio”, tradizione di montagna ripensata con panbrioche imbibito nella crema di radice imperatoria per il balsamico, tostato e guarnito con chutney di prugne e spalmabile erborinato, più granita di uva spina, fragoline di bosco e rabarbaro su base crumble di polenta.

 

 

kosmotastethemountain.com