MILANO DESIGN WEEK 2025, RISTORANTI A COLORI

La Milano Design Week ritorna dal 7 al 13 aprile 2025 e insieme al Fuori Salone conquista la città con installazioni vivaci e interattive. Il tema del Fuori Salone 2025 è infatti “Mondi Connessi”, un invito a immaginare il futuro e a creare relazioni fra ogni aspetto dell’esistenza. A dare forma alla visione è la designer Silvia Badalotti attraverso tre soggetti fortemente espressivi realizzati con l’Intelligenza Artificiale e orientati a illustrare il concetto di circolarità: “l’umanità crea la tecnologia, la tecnologia impatta sulla natura e i danni alla natura tornano inevitabilmente a influenzare l’umanità”. Un invito a riflettere sul bisogno di armonia fra innovazione, rispetto per l’ambiente e coscienza del nostro ruolo nel mondo. Le tre immagini – un volto di donna orientale con un occhio azzurro a simboleggiare l’universalità dell’essere umano oltre qualunque etnia e cultura, un groviglio di cavi elettrici a evocare il progresso tecnologico con le sue connessioni al mondo e i suoi rischi e, infine, l’immagine di un’ape e di un alveare a rappresentare la fragilità e la forza della natura – sono caratterizzate da colori forti, dall’ocra gialla all’azzurro, come coloratissime sono installazioni e performance in calendario durante la manifestazione. Una suggestione, quella del colore, che ci ispira il disegno di un percorso fra mostre, installazioni sensoriali e ristoranti da coprire a Milano durante la Design Week, in una sorta di itinerario sinestetico che mette in connessione gusto e vista.

The Roof

Iniziamo dall’enfant terrible dei colori, il NERO, “da prendere con le molle come il carbone” – afferma il massimo esperto della storia dei colori Michel Pastoureau – “ma non così uniforme e disperato come si tende a credere”. Tanto più che è ormai sinonimo di eleganza e, insieme al suo complice il BIANCO, ha generato una raffigurazione del mondo trasmessa dalla fotografia e dal cinema talvolta ancor più vera di quella espressa dai colori. L’universo del bianco e nero è rintracciabile ovunque nella Design Week, per esempio nella mostra Milano Abitare lo spazio a Palazzo Boncompagni, dove viene presentato il lavoro della coppia – nella vita e nel lavoro – di designer creativi Titina Ammannati e Giampiero Vitelli. A breve distanza dal Duomo, un percorso interattivo e luminoso illustra l’evoluzione del design durante un secolo nello spazio espositivo di Leica, la casa fotografica tedesca che celebra l’invenzione con la quale Oskar Barnack dal 1925 ha cambiato la storia della fotografia. Un niveo labirinto di vele in materiale upcycled evocativo di viaggi in mare nel vento è quello dell’installazione Wind Labyrinth di Piero Lissoni per Sanlorenzo allestita nel Cortile del ‘700 all’Università degli Studi per immergere i visitatori in un’atmosfera fantastica e impalpabile grazie al gioco fra luce e ombra, trasparenza e mutevolezza delle vele e il bianco ritorna nell’architettura interattiva in plastica riciclata TAM TAM Tempio, Azione, Movimento di Alvisi Kirimoto per Corepla composta da sei colonne mobili di diverso diametro che nel Cortile d’Onore i visitatori possono spostare trasformando e riorganizzando lo spazio. Di nero, specchi e dettagli oro è The Roof, il ristorante panoramico al decimo piano dell’Hotel The Square Milano Duomo Dei Cavalieri Collection, a pochi passi dalla Torre Velasca, di proprietà da ormai tre generazioni della famiglia milanese Bernardelli. Uno stile internazionale come le persone che la frequentano caratterizza il design della sala, un ampio spazio ulteriormente dilatato dalla vetrata panoramica proiettata sulla profonda terrazza e su un mosaico infinito di tetti, cupole e scorci di una Milano romantica e inedita che potrebbe essere Firenze o Roma. Venire durante la Design Week è l’occasione per scoprire a pranzo e a cena o all’ora del tè e dell’aperitivo, il rinnovato disegno degli arredi della sala; morbide e avvolgenti poltrone a pozzetto in pelle nera, forme circolari nei tavoli e negli specchi che li sovrastano sul soffitto con effetti rifrangenti illuminati da dettagli oro minimalisti a orlare come lampi di luce tavoli e vetrate, la proiezione su una parete in tutta la sua lunghezza dell’immagine di una città gemella per spirito cosmopolita ma affacciata sul mare all’altro capo del mondo. Un’altra novità del The Roof è l’arrivo in cucina dello chef Mauro Sgroi, brianzolo di origini siciliane con una proposta gastronomica rivelatrice di tecnica salda e calibrato tocco di estro negli accostamenti come nelle presentazioni, offerta esclusivamente alla carta, come per esaltare la qualità dei singoli ingredienti posti al centro dei piatti, in una summa delle esperienze professionali maturate in giro per Francia, Sardegna e Milano e al contempo annodata alle origini mediterranee e alla tradizione italiana. Dopo un aperitivo di spirito meneghino a base di Gin, Aperol, lime e Prosecco (Easy 75), gli amuse bouche raccontano il mare e l’orto in città attraverso sferici bocconi di salmone e alga nori e mini Caprese con cuore fondente di pomodoro, aprendo la gola a portate di approccio accessibile e diretto, quasi un’oasi di comfort dal logorio della vita moderna meneghina, come il Polpo arrendevole al morso quanto la nuvola di orticola purea di fave e piselli che lo sorregge ben accostato nel calice alle note fresche e aromatiche di agrumi e fiori di un giovane Chablis William Fevre o la Coda di astice di morbidezza amplificata dalla nappatura al burro e dall’abbraccio con l’essenza delicata della verza in terrina, il tutto vivacizzato da un sorso di Vermentino sardo Il Giunco di Mesa di carattere mediterraneo. Lo chef alza l’asticella delle acidità nel Risotto Riserva San Massimo nel quale la texture dei chicchi coltivati nell’oasi bio del pavese è intrecciata alla consistenza del crudo del calamaro e vivacizzata da una variazione fresca e rotonda di seppia di cui impiega il nero e il fegato. Sgroi sa spingere sulla sapidità e lo dimostra nello Gnudo di ricotta e spinaci tuffato in un aromatico consommé di agnello e tartufo bianchetto, fra i piatti più interessanti del menu, per poi tornare a un gusto sobrio nel Petto d’anatra cotto a bassa temperatura servito sul suo fondo speziato accostato al Chianti Classico Tenuta Perano e, fra i dolci con vena più sfiziosa, nell’Éclaire al lemon curd con un’onda di meringa fiammeggiata chiusa nel girotondo di sapori da un cocktail definitivo a base di Espresso Martini Calvados e infuso al rosmarino.

Temporary restaurant e bistrot Antonio Marras e Famiglia Rana

Nero e bianco sono i colori dell’edizione 2025 del Temporary restaurant e bistrot Antonio Marras e Famiglia Rana, un incontro fra gusto della moda e della cucina aperto dal 7 al 13 aprile in occasione della Milano Design Week nel cortile segreto di Marras in Via Cola di Rienzo 8. Estensione dello showroom dello stilista seminascosto in un romantico giardino segreto dominato dagli intrecci del glicine con piante, decori e fiori, il Temporary restaurant è contaminazione fra stile, sogno e cucina stellata, contraddistinto da un allestimento eclettico ridisegnato ogni anno con estro e delicate evocazioni da Antonio Marras svelate dal coinvolgente racconto di Antonella Paternò Rana, padrona di casa di radiosa simpatia “marrassianamente” abbigliata. Dopo la costellazione di orsi sospesi in giocoso carosello sul soffitto, il giardino dell’Eden ricreato in stoffa e fiori sui tavoli e la collezione di vascelli pirateschi sospesi sopra le mise en place trasformate in fondali marini degli scorsi anni, nell’edizione 2025 lo stilista sceglie di celebrare la sua isola, la Sardegna, costante fonte di ispirazione delle creazioni stilistiche trasversali a moda e ceramica, con colori naturali e autentici attinti dalla natura, fra terra e mare. A farle eco a tavola, la consolidata collaborazione con il ristorante Famiglia Rana, in trasferta da Vallese di Oppeano in provincia di Verona per l’intera durata della Design Week con la proposta gastronomica firmata dallo chef una stella Michelin Francesco Sodano che unisce in chiave personale intensa e originale le anime dei territori protagonisti. Un connubio artistico e gastronomico giunto alla settima edizione aperto agli ospiti tutto il giorno, a partire da colazione e pranzo negli spazi conviviali all’aperto del bistrot dove sotto la fioritura del glicine sbocciano Insalate primaverili con Primo Sale, cetrioli, pomodorino semi-dry, olive e mandorle di Sardegna, Ravioli con gamberi, mozzarella, limone, emulsione di datterino giallo e stracciatella di bufala, Gnocchetti sardi con pesto di rucola e pinoli tostati. Sino all’aperitivo e al più elaborato menu della cena servito nelle atmosfere raffinate e originali della sala decorata con il tema ispirato alla Sardegna, celebrata nel piatto con svariati omaggi ad Alghero: alla sua anima marina nei mix di sapori aromatici del Risotto con burro affumicato alle alghe, emulsione di ricci di mare e caviale d’aringa, alle influenze spagnole nel piatto Cappasanta e prosciutto, ai frutti tradizionali dell’isola nell’abbraccio di dolcezza e spilli agrumat del dessert Mandorla, cappero e cedro liscio di Sardegna, passando per piatti dove l’ingrediente vegetale monopolizza il sapore come la Rapa rossa arrosto e in chips, panna acida e clorofilla di cerfoglio o l’immancabile Carciofo arrosto, quest’anno pungolato da spuma di Pecorino sardo, tuorlo marinato e mandorla arrubia tostata.

Confine 

Un GRIGIO materico e cangiante, dalla tonalità tortora a quella più ombrosa iridescente e ferrosa, leviga gli ambienti di Confine, il locale con una moderna proposta gastronomica a base di pizza, fritti e lievitati in abbinamento ai vini di una ricca cantina, nato nell’aprile 2023 nel cuore del quartiere Cinque Vie, in quelli che per oltre ottant’anni furono gli spazi della ferramenta storica Meazza e che durante la Design Week rimane aperto tutti i giorni. Un sipario neutro ma di carattere, in armonia con tavoli verde pastello e luci dal design di gusto anni ’70, sfondo ideale per mettere in risalto il progetto gastronomico dei due soci fondatori salernitani, Francesco Capece e Mario Ventura, amici (di scuola) ritrovati in età adulta. Francesco guida la brigata della cucina, 150 mq di ariosa e laboriosa fucina interamente a vista dalla quale escono le pizze che hanno valso al locale fama nazionale e il secondo posto nella 50 Top Pizza. Mario Ventura è il maître che detta il ritmo di un servizio in sala efficiente nel senso pieno del termine perché solerte senza invadenza, cordiale e mai petulante, una sala “sul confine tra divertimento ed eleganza, conviviale ma intima, studiata e allo stesso tempo naturale”. L’idea di pizza di Francesco Capece è molto chiara: impegno nella messa a punto di impasti, tempi delle lievitazioni e metodi di stesure adatti alle diverse tipologie di pizze proposte – principalmente la classica cotta al forno, la fritta e ripassata al forno, il Padellino –, impiego in tutte le preparazioni di farina tipo 1 Molino Quaglia e sale dalle Saline di Trapani, affusolate tracce di acidità e aromaticità ottenute usando i pre-impasti a lunga maturazione, scelta di ingredienti di qualità con ricerca sui sapori da affratellare che parte dalla dolcezza del pomodoro e del latticino, prosegue con le monocultivar dell’olio extravergine d’oliva e culmina nell’impiego di prodotti Slowfood o comunque identitari dei luoghi e di fattura artigianale, ricette protocollate a garanzia della continuità di sapori e qualità. Un lavoro di ricerca che dona anche alle pizze classiche una personalità riconducibile alla tradizione ma in prospettiva contemporanea, e trasforma il percorso di scoperta tra le pizze-firma in un’esperienza ludica, esaltata dal pairing sempre ficcante proposto anche al calice da Mario Ventura, forte di una cantina importante dove è possibile far convivio, circondati da bottiglie di Sassicaia, Barolo, etichette europee e dal mondo. E una collezione di champagne ideale per avviare la degustazione – da 4, 5 o 6 portate e dessert – magari con Miseria e nobiltà, una torre di sapori e consistenze stratificate con cuore morbido e vellutato di bucatini di Gragnano alla cacio e pepe e corazza fragrante fritta in pastella, guarnita in uscita con una delicata tartare di tonno rosso mediterraneo teneramente accesa dalla sapidità di ciuffi di maionese al cipollotto bruciato e caviale di aringa affumicata. La prima porzione di pizza dimostra che “semplice non vuol dire facile” attraverso una Margherita in doppia cottura prima fritta e poi ripassata al forno dal cornicione reso ancor più fragrante dall’alveolatura che lo percorre, insaporita alla base da un antico pomodoro di Napoli dolcissimo senza buccia né semi, un disco di Mozzarella di bufala Campana Dop irrorato da olio extravergine di oliva, una spolverata di Parmigiano Reggiano stagionato 36 mesi e basilico fresco a chiudere il cerchio odoroso. Il gioco entra nel vivo con il Calzone completamente cotto al forno ispirato a collaudate combinazioni di sapori e stagionalità, scenografico sia nella porzione intera, una gonfia mezzaluna aperta a metà a mostrare la farcia con tetto e base ben distanziati, sia nella porzione degustazione, un arco steso come un arcobaleno sulla farcia da schiacciare e mangiare con le mani, gustando sia la riuscita consistenza asciutta e croccante della pasta, sia le sapidità del ripieno. Nella versione ispirata a Salsiccia e friarielli il Calzone diventa Agnelli e friarielli, con l’agnello in doppia versione, i tagli di spalla e coscia cotti e posti all’interno mescolati a Provola affumicata di Gragnano e friarielli spadellati con olio e peperoncino e il tenero filetto crudo in tartare servita a parte su un cucchiaio con i succhi della cottura. Da provare è poi la Umaminara, pizza marinara alla maniera di Francesco, “con le radici nella tradizione in quanto pizza, ma con lo stesso approccio di un piatto in termini di gusto per le tecniche utilizzate e di quantità, essendo servita una sola fetta”. Il nome richiama l’effetto umami rilasciato al morso, ma la provocazione inizia prima, nella preparazione al padellino con cottura al vapore. Sulla base di pomodoro San Marzano affumicato al legno di faggio, il topping disegna una striatura di gel di basilico, crema di aglio rosso di Nubia sbianchito al latte, crema di datterino siciliano, pasta di alici e alici fresche di Cetara, e sopra polvere di origano, capperi e aglio nero ossidato, olive nere caiazzane tostate e, come uno Chanel n 5 mediterraneo, colatura di alici. Da mangiare con le mani, per apprezzare la leggerezza dell’impasto focaccioso e assaporare il momento in cui le creme aderiscono al palato e fondono le loro anime.

La Corte Romanengo, Sala da tè e ristorante

Il colore VERDE è stato a lungo associato a fatalità, destino, superstizione. Temuto come la peste da Schubert e bandito dalla regina Vittoria da tutte le residenze reali, solo a partire dall’epoca romantica è entrata in gioco la natura attraverso la botanica delle erbe dei farmacisti. Alla Milano Design Week il verde abbonda, a partire da Portanuova Vertical Connection: architettura, spazio urbano, città nel quartiere Portanuova, installazione immersiva firmata dallo studio Evastomper con il contributo scientifico del professor Stefano Mancuso, composta da una struttura in layher che invita a intraprendere un percorso fisico e tecnologico nei suoi spazi guidati dall’Intelligenza Artificiale con la quale si possono creare contenuti sui videowall selezionando luoghi, colori e sensazioni tradotti in immagini, suoni e luci. Riportano al verde anche il giardino segreto dell’installazione Digital Garden American Express Living in via Palermo 16, nel cuore del Brera Design District dove luci e schermi LED creano uno spazio nel quale esplorare il rapporto tra natura e tecnologia e il Nardi Forest Lodge, installazione presso il Nardi Showroom di via Pontaccio 19 che permette di vivere un’esperienza di connessione con l’ambiente e la natura, “entrando” in un bosco che è metafora di rifugio e ideale benessere.

Autem (Photo credits Lido Vannucchi)

Verde salvia è il colore delle boiserie di Autem, il ristorante dello chef Luca Natalini nel quartiere Porta Romana, un nodo gastronomico di Milano dalle architetture ottocentesche simili a una piccola Parigi dove arrivare con una piacevole passeggiata nei giardini dell’Università degli Studi, superando l’insegna Decò del teatro Carcano e attraverso via Orti, passata dall’essere zona di orti nell’Ottocento, poi di banditi e contrabbandieri e oggi oasi di pace dal traffico, punteggiata da giardini e bei locali. La natura da Autem ha un ruolo da protagonista nel menu come nel pensiero e nello stile dello chef patron, sensibile al rispetto della sua circolarità e all’offerta in continua progressione di materie prime stagionali. Proprio i prodotti di mercato disegnano un menu di sostanza e inventiva, eleganza e genuinità, ricomposto a cadenza quotidiana o settimanale in base ai prodotti reperibili, riservando un ruolo di valore all’improvvisazione che lascia il segno nel Menu scritto a mano ogni giorno e donato agli ospiti come souvenir. Il risultato è una proposta di carattere, una filosofia distintiva condivisa con chi siede a tavola anche nell’impostazione della cucina, a vista e affacciata senza schermi sulla sala principale che può seguirne le mosse e intercettare la coreografia dei movimenti intorno alle composizioni mentre prendono forma nel piatto, in continuità con le scelte naturali fatte per gli arredi in legno, ceramica e materiali di riuso e pregiato marmo toscano, accresciuti durante la Design Week dalla collaborazione con l’artista Paola Paronetto e l’esposizione di opere ispirate al mondo floreale. Al centro del dialogo fra cucina e tavola lo chef in persona, che con simpatia e bravura nel misurare i tempi del racconto, presenta i piatti e la loro genesi di mercato, a partire dalla schiera di amuse gorge cesellati come piccole opere di pasticceria con sapori incisi nella tradizione e nell’orto, posate sulla tavola come pedine messaggere del gusto che verrà, dalla salsiccia toscana lavorata a mano a punta di coltello sposata a borragine e bietola in zimino, alla tartelletta con crema di latte e radicchio tardivo marinato sino al gonfio doppio cuscinetto alla barbabietola. Tra i piatti da assaggiare, il vellutato Scampo cotto alla brace lasciando cruda la base immerso in un’ariosa zuppetta di sedano mela, cannolicchi, grano saraceno e beurre blanc agli champignon; le tenere Lumache come una bourguignonne mantecate in salsa di spinacino selvatico e nascoste sotto un cremoso di patata bolognese, forse omaggio alle esperienze in Francia dello chef (e a un pellegrinaggio con la moglie Teresa Onorato in quasi due dozzine di stellati francesi); l’Animella arrosto accostata in un elegante gioco di consistenze a una preparazione alla mugnaia, friggitello e cavolo nero; gli originali Bottoni di pasta che trasformano il crostino toscano in succulenti bocconi a sprigionare sul palato i sapori fondenti dei fegatini uniti al finocchietto selvatico e tostato e al Vin Santo, l’acidità di un velo gelatinoso e il contrasto fra la parte esterna della sottile sfoglia del raviolo e la farcia interna umida e avvolgente a richiamare il pane scrocchiante e il suo topping; il Piccione arrivato da Collodi e cotto in carcassa di riuscita sapidità in ogni suo taglio e frattaglia, dove petto, coscia e sovracoscia, filetto e aletta, cuore leggermente brasato alla brace e raro bocconcino del prete (dal sapore morbido e pastoso), ricompongono in frammenti l’identità di sapore del volatile, arricchito dalle fragranze della brace, dall’intingolo di sugo d’arrosto tipicamente italiano al posto della salsa alla francese e completato dalle rigaglie ricondotte a una tartelletta scortata da composta di clementina mandarino chinotto e arancia amara e dalle immancabili verdure di stagione alla brace ravvivate da una nota balsamica. Sempre presente in menu la Pasta in Bianco, il piatto firma di Luca Natalini sin dai tempi del Pont de Fer, ovvero una matassa di spaghetti posata sul piatto senza alcuna guarnizione che racchiude nella preparazione il suo incanto, cotta in un decotto di alloro rimasto 40 giorni sulle sue foglie e poi mantecati con Vermouth alle prugne, aceto di mele, semplice e scarno alla vista quanto spiazzante e inaspettato al palato, in un intreccio di inedite sensazioni morbide e acide, dolci e amare. Chiusura perfetta con il soufflé da condividere al cioccolato di Modica, olio extravergine d’oliva e gelato alla vaniglia a mitigare ogni affondo di cucchiaio, tutto privo di latte e glutine.

El Porteño Gourmet

Il verde smeraldo brilla sulle pareti della Bentoteca in zona Sant’Agostino dello chef Yoji Tokuyoshi, già stella Michelin e braccio destro di Bottura all’Osteria Francescana, ritornato dopo la pandemia con questo locale di “Cucina giapponese con ingredienti italiani abbinati a vini naturali”. Il verde inglese alternato al giallo ocra percorre gli ambienti di El Porteño Gourmet di via Speronari, il più vocato alla cucina gourmet fra i locali dell’insegna di proprietà dei fratelli Acampora che nelle due sale affacciate su una via che è insieme raccolta e vivace, hanno voluto trasporre “il calore e l’accoglienza di una casa argentina degli anni ‘40 e ’50 attraverso pezzi di antiquariato e d’arte reperiti direttamente in Argentina e portati in Italia”. Ne sono testimoni mobili e vetrine da salotto, specchi, tendaggi e divanetti in velluto, decori e decine di fotografie d’epoca incorniciate che dalle pareti raccontano per immagini i quartieri della capitale argentina, il tango e lo sport più amato, il polo. Un mix eclettico che disegna la fisionomia degli spazi, “luoghi del ricordo di una tradizione vicina e affine alla cultura italiana”. A ideare la proposta gastronomica è stato chiamato dall’autunno 2023 lo chef di origini pugliesi Matteo Torretta. Un incontro felice perché, forte della formazione con maestri del calibro di Marchesi in stage all’Albereta, Perbellini dove scopre il valore della pasticceria, Cracco per affinare lo stile, Cannavacciuolo a Villa Crespi per esplorare le profondità del gusto e l’esperienza di rigore e disciplina nel tre stelle Martín Berasategui a Lasarte in Spagna, Torretta è giunto a uno stile maturo, fondato su salda tecnica intrecciata a una creatività garbata e sapori confortevoli e spinti in maniera sempre ben controllata. La sua sfida a El Porteño Gourmet è interpretare in chiave elegante e moderna il legame fra le due culture gastronomiche di Argentina e Italia, mescolando tecniche, tradizioni e ingredienti e contribuendo a creare un’esperienza di schietto piacere. Se grande protagonista della tavola argentina è la carne in Parilla (alla griglia), a creare un ponte con la cultura italiana c’è l’importante comunità italiana erede delle migrazioni in Argentina. Un’umanità di ormai 20 milioni di persone che nel continente sudamericano ha diffuso le tradizioni della cucina italiana rendendo popolari piatti come lasaña, fugazzetta, milanesa e molti altri che lo chef ha avuto modo di scoprire durante un viaggio iniziatico e formativo compiuto insieme agli Acampora, visitando anche gli allevamenti scelti per gli approvvigionamenti di carne del ristorante. Al ritorno a Milano ne è nata una cucina che infonde al carattere argentino di El Porteño Gourmet una prospettiva personale, nuova e fresca, realizzata attraverso piatti nei quali le palettes di sapori fondono spirito sudamericano e italiano. Una vivace spinta di gusto è presente in ogni proposta, ma sempre equilibrata, come nel Caldo Freddo, piatto firma a base di midollo alla parilla sormontato da una polposa battuta di Fassona piemontese e un’onda morbida di foie gras a legarli, insieme al tocco raffinato e materico del tartufo estivo o nel Roast beef di carne argentina grondante sapore con salsa chimichurri e piacevoli consistenze croccanti di tartufo e ravanelli. Al risotto, la scelta del chicco arrendevole di Vialone Nano offre una base morbida e soffice al contrasto di consistenze del topping di animelle, zucca e tartufo. La milanesa amatissima in Argentina tanto da contarne svariate versioni nelle quali è accostata agli ingredienti più impensati, qui è una cotoletta di impronta classica battuta, passata in pane panko e nel burro chiarificato e flambata al tavolo, per un risultato tenero e fragrante. Corposo il capitolo dei dolci, dal Flan casero (un crème caramel presente in ogni menu argentino) alle Panqueque de manzana, crêpes ripiene di dulce de leche caramellato e completate in sala con uno strumento realizzato ad hoc che ne pressa il sottile spessore.

Case di Carta, Clara Bona e Lula Ferrari per Jannelli&Volpi

Un’idea romantica di natura è protagonista dell’installazione Case di carta, un progetto architettonico firmato dalle architettrici Clara Bona e Lula Ferrari per Jannelli&Volpi in Via Statuto 21, ispirato alle classiche case delle bambole rivisitate in una dimensione macro e con una struttura interna rivestita con le nuove wallpaper del brand mixate fra loro in un susseguirsi di scorci di giardini e paesaggi fantastici, botaniche e murales, per offrire un’idea di contemporaneità dell’interior. Un richiamo alla natura è poi presente nelle sedute rivestite in tessuti decorati con disegni botanici di foglie e fiori di DaV by Da Vittorio Louis Vuitton il ristorante all’interno della maison di moda in via Montenapoleone la cui apertura è prevista, insieme al Da Vittorio Café Louis Vuitton, per gli inizi di aprile. Il Cafè si insedia nella corte ottocentesca in stile neoclassico di quel Palazzo Taverna dove visse Carlo Porta, il grande poeta della tradizione dialettale milanese lodato da Stendhal e autore fra gli altri del sonetto dedicato alla Ninetta del Verziere (il fu mercato agricolo cittadino). L’offerta del Cafè include dolci monoporzione decorati con la sagoma del fiore simbolo di Louis Vuitton, impressi anche sui toast e presi a modello per la forma delle patatine servite con l’aperitivo. Il menu del Ristorante colleziona classici come i celebri Paccheri alla Vittorio mescolati a rivisitazioni della tradizione lombarda tutte da scoprire.

Hiva Alizadeh (Photo courtesy of The Flat – Massimo Carasi, Milano)

È il colore mistico delle vetrate nelle cattedrali medievali, celebrato da poeti e artisti dal XVIII secolo, associato da Renoir alla nascita dell’Impressionismo e oggi sinonimo di sobrietà ed eleganza: il BLU. Al Fuori Salone 2025 nuances di blu elettrico e azzurro sono al centro delle creazioni dell’artista iraniano Hiva Alizadeh che alla galleria The Flat-Massimo Carasi in via Cesare Correnti 14 reinterpreta la tradizione persiana del tappeto stravolgendo texture e colori attraverso l’impiego di extension di capelli sintetici colorati di blu elettrico, con uno spiazzante effetto arcobaleno fra allucinazione e sogno onirico.

Polpo Semplicemente Pesce

È un blu più abissale quello che avviluppa gli ambienti di Polpo Semplicemente Pesce, il ristorante in zona Buenos Aires con cui la chef Viviana Varese porta in città il pesce e le atmosfere marittime conviviali e garbatamente retrò delle vacanze anni ’80, mescolando la cucina dei ricordi familiari e l’esperienza maturata in una vita. Viviana Varese è una cuoca stellata impegnata in vari progetti in Lombardia e insieme alla socia indiana Ritu Dalmia ha concepito Polpo come una trattoria moderna e pop (con il dettaglio di design delle grandi lampade romboidali a forma di pesce che dal soffitto occhieggiano i tavoli come da un mare al contrario) dove si va per un aperitivo con tapas al banco del bar e per mangiare pesce cucinato in maniera schietta stando insieme ai tavoli blu specchio. Perfetti per la condivisione i piccoli Calamaretti in fragrante frittura da gustare con le mani come fossero patatine, le Acciughe al verde da accompagnare al burro alle alghe, il Lardo di seppia con blinis e il Ceviche asciutto di ricciola con avocado, pomodoro e chips di mais. Piatti forti della cucina sono gli Spaghetti alle vongole nobilitati dall’eco di stabilimento balneare da un’interpretazione elegante e personale che li vede nappati da una salsa vellutata nella quale si stemperano aglio e olio e le valide preparazioni alla brace, in particolare un rombo le cui consistenze virano dalla crosticina croccante alla tenera polpa tutto intorno allo scheletro della lisca. Dopo i profiteroles trasfigurati in bignè aperti ripieni di panna fresca e irrorati al tavolo con cioccolato fuso e prima di uscire, una visita al bagno dipinto di blu con dettagli arancioni e specchi in stile vintage con disegni a incorniciare il viso di chi vi si affaccia. Specchio del cielo filtrato dalle grandi vetrate è il blu delle colonne della Caffetteria delle Gallerie d’Italia, aperta dalla colazione all’aperitivo o per un gelato; un blu profondo che si diluisce negli ambienti neutri del ristorante gourmet Voce di Aimo e Nadia, dove la cucina di Fabio Pisani e Alessandro Negrini dialoga con le collezioni d’arte del museo attraverso menu dai quali ammiccano Gamberi viola di Santa Margherita con limone, castagne e salsa cocktail, Eliconi Valdoro al sedano rapa e lardo di Colonnata, Piccioni in crosta con finferli e fegato d’anatra.

All’opposto del sobrio blu è il ROSSO, colore per antonomasia, temerario, fiero, deciso a farsi notare e a catturare lo sguardo già dall’età paleolitica quando con la terra ocra si graffiano le pareti narrando storie, per poi associarsi ai simboli del potere, dalla religione alla guerra, al fuoco e al sangue. Nel nostro itinerario troviamo il rosso nella mostra Cashew Rain curata da Bruno Simoes per ApexBrasil nel Loggiato Ovest dell’Università degli Studi. Tema dell’esibizione è ‘Chuva do caju’, pioggia di anacardi, il fenomeno di scarse piogge precedente alla fioritura degli alberi di anacardi e simbolo di buon raccolto, attraverso il quale si esplora “il significato più profondo di questo concetto, collegandolo alla trasformazione e alla speranza, riflettendo un atteggiamento positivo verso le sfide contemporanee nel design”. Uno scroscio di ispirazione dai colori vitaminici, rosso e giallo, intorno a prototipi e manufatti brasiliani che esaltano la memoria e la conoscenza del paese. Quanto il rosso sappia catturare l’attenzione anche senza essere protagonista assoluto lo dimostra il lampadario installazione simbolo di Ba Restaurant di Marco Liu, locale a pochi passi da City Life suddiviso in più ambienti dal design moderno e verticale giocato sulle tonalità del nero e del grigio, con eleganti omaggi ai simboli della tradizione (già il nome Ba in cinese significa “otto” numero di armonia e prosperità, come pure “papà”, omaggio al Liu senior primo titolare delle redini di cucina) che si materializzano nelle statue dei leoni guardiani Shishi (di realizzazione moderna perché nella tradizione cinese ciò che è antico e usato non porta buona sorte) e nel tocco rosso lacca dei due immensi lampadari, unica concessione al colore e retaggio dell’allestimento precedente. In sala Marco Liu e la moglie Francesca Hu esprimono il senso della cultura cinese per l’accoglienza, mentre la cucina improntata alla modernità da quest’anno propone il brunch del sabato, dalle 12:30 alle 14:30 con un menu per almeno due persone che comprende i noti pop corn spolverati di Hondashi e alghe nori, involtino primavera, toast di gamberi, una selezione di  ravioli, curry pig bao, gamberi fritti con maionese speziata, melanzane alla Sichuan stufate con carne, salsa hoisin e peperoncino fresco e riso bianco. Un vino abbinato è già previsto, ma è sempre piacevole scorrere le numerose referenze della Carta Vini composta con appassionata ricerca dal sommelier Marco Spini. Il rosso in varie gradazioni dallo scarlatto al carminio, contrapposto a giallo, arancio e blu, caratterizza la nuova identità del ristorante Contraste in via Meda. Sfidando lo storico bianco neoclassico del luogo, un palazzo dell’ottocento ricco di stucchi ed elementi decorativi originali, e un consolidato corso gastronomico, la nuova scenografia richiama con il suo trionfo di colori gli elementi naturali di terra, aria, fuoco e conduce a nuovi percorsi anche nella cucina dello chef Matias Perdomo espressi nei due menu degustazione Riflesso e Riflessioni. Riflesso, è il percorso più emblematico e consigliato per un primo approccio, concentrato sull’aspetto ludico, “trasformando la materia prima in un gioco legato alla memoria del gusto” e sulla rivisitazione di alcuni piatti simbolo della tradizione nazionale e internazionale, allo scopo di “coinvolgere e talvolta trarre giocosamente in inganno i sensi dell’ospite”. Riflessioni è costruito su “abbinamenti inusuali tra ingredienti, un’esperienza decisamente più concettuale che stimola costantemente il palato con l’idea di esprimere una cucina libera”. L’incarnazione insomma della recente evoluzione dell’idea di cucina e accoglienza del ristorante.

Il GIALLO fa capolino insieme a bianco, rosso, azzurro e viola dall’installazione interattiva Hyper Portal proposta a Palazzo Moscova 18 come viaggio sensoriale fra arte innovazione e positività ed è colore protagonista assoluto in The Gift di Chen Yaoguang, installazione realizzata nel Cortile d’Onore dell’Università degli Studi per esaltare la connessione tra culture favorita dalla natura e dal design, espressa da un prato di fiori gialli di colza, ginestra, forsizia e ligustro texano, a formare un cerchio simbolico rappresentativo dei cicli infiniti della vita. L’opera riflette l’idea di dono e condivisione, richiamando la mooncake cinese e l’importanza della convivialità, e la sua struttura specchiata, illuminata dalla parola ‘dono’, esprime sostenibilità e rispetto per l’ambiente, tanto più che i materiali che la compongono saranno riciclati al termine della mostra. Un giallo molto carico è il colore delle pareti che fanno da sipario alla cucina di Trippa, la celebre trattoria di Diego Rossi dove prenotare un tavolo richiede una certa lungimiranza perché la cucina che ha trovato nel tratto essenziale e nella cucina rurale e popolare il suo segno distintivo, spopola, insieme al vitello tonnato rosa il giusto con salsa tonnata soffice e ariosa e ai piatti che esaltano il quinto quarto, trippa in testa. Ocra gialla di gusto anni ’70 è anche il colore di Sugo Milano, il locale dove durante la Design Week Bitossi Home presenta “Trattoria”, un progetto che ne reinterpreta gli spazi per offrire una visione contemporanea della tipica atmosfera della trattoria italiana. I piatti più tipici della cucina italiana ispirano inoltre i decori della collezione di ceramiche realizzata in collaborazione con la designer francese Sandrine Alouf e presentate nel negozio showroom Bitossi in Via Santa Marta.

 

Cover: Ba Restaurant (dettaglio)