DIMORA PALANCA, INTIMITÀ E ARTE
Nel cuore di Firenze, in quella che un tempo era crocevia di fughe segrete, incontri e passioni, una antica Dimora svela un nuovo volto per ridisegnare la storia. È Dimora Palanca, in Via della Scala. Pare che nel XV secolo, la via, sia stata lo sfondo della fuga segreta di Caterina de’ Medici, costretta a vivere nascosta per alcuni anni per sfuggire ai sicari del padre. Dimora Palanca oggi viene citata nel Repertorio delle architetture civili della città.
Il nome del palazzo è mutuato dalla nobile famiglia, di origini di Orbetello, che l’abitò nel periodo aureo di Firenze, quando veniva qui trasferito il titolo di capitale del Regno. Era il 1864 e l’architetto Giuseppe Poggi riassettava l’urbanistica, sostituendo le mura medievali con un nuovo complesso residenziale e le famiglie aprivano le porte dei loro palazzi agli artisti, celebrando un mecenatismo ottocentesco tanto in voga in quel tempo e che, in Dimora Palanca, viene raccontato poeticamente nel soffitto a grottesche, nella luminosa area comune, dove padroneggiano in un affresco, le allegorie delle arti.
“La bellezza è difficile” insegnava Ezra Pound ed è pertanto necessaria una grande capacità di visione. Di questo ne è l’esempio il restauro conservativo, messo in atto dalla famiglia Ugliano che con le parole di Michele Ugliano “ha voluto restituire una bellezza naturale, mantenendo l’anima del palazzo e al contempo ha voluto esaltare la nuova vita attraverso l’arte contemporanea e il design”.
Il progetto è stato affidato a Stefano Viviani, architetto e interior designer, toscano di adozione, “entrato già in famiglia per unità di intenti e sensibilità comune” come ha precisato Michele, facendo sua l’idea che “la vita si arricchisce grazie alla curiosità e alla conoscenza. Il viaggio è la somma di queste componenti ed è per questo che volevamo dar vita ad una ospitalità di qualità, che offrisse esperienze”.
La memoria storica viene riconsegnata con tratti di squisita ispirazione neoclassica all’esterno dell’edificio. Frontoni, lesene e bugnato riemergono dal tempo incontrando le scelte dei pezzi di design: i tavolini di Antonio Citterio, Pietro Lissoni e di Naoto Fukasawa, il gigantesco lampadario di Marcel Wanders, i complementi d’arredo, i vasi e le ceramiche di Paola Navone, le luci di Castiglioni, Claesson Koivisto Rune, Magistretti, Starck e Anastassiades, i pezzi disegnati e fatti realizzare in loco su misura, usando, per esempio, un materiale come la pelle, tipico della maestria artigiana fiorentina. Tutto disegna una nuova storia con una palette cromatica di nuance leggere, che predilige il bianco e dialoga con la luce e i sontuosi affreschi dei soffitti, gli stucchi, il tipico impianto pavimentale in pavé toscano, le colonne al primo piano, il marmo delle scalinate e il ferro battuto dei corrimano. Riemerge dal tempo anche il giardino, l’hortus conclusus in cui rilassarsi sulle ampie e comode chaise longue.
Come spiega la direttrice Laura Stopani, “abbiamo voluto restituire alla città e alla vita questo palazzo, legato a un periodo di grande cambiamento di Firenze, con l’ambizione di ritrovare l’aura che lo caratterizzava: la famiglia Palanca lo aveva immaginato, infatti, come punto di incontro e passaggio di respiro internazionale”.
Il nuovo racconto diviene ancora più affascinante grazie alla presenza delle opere di Paolo Dovichi, realizzate site specific e distribuite tra aree comuni, scalone centrale, camere e suite. Non è la prima volta che Paolo Dovichi, artista ed interior designer toscano, viene coinvolto da Stefano Viviani nei progetti della famiglia Ugliano, che da generazioni investono nell’ospitalità. L’ultimo progetto è proprio dimora Palanca dove “arte e architettura sono stati pensati per vivere insieme” rivela Dovichi, che del suo percorso professionale racconta che “l’arte è venuta prima del design” e per questo lo accompagna in ogni lavoro. Dovichi sottolinea che “un progetto architettonico così come un progetto artistico, si può portare a compimento solo con la ricerca. Siamo nell’era dell’abbondanza e ora il mio obiettivo è ricontestualizzare e sintentizzare. Ecco perché quella di adesso è una pittura che sintentizza la pittura del mio periodo precedente”.
La ricerca artistica prende ispirazione dagli elementi della terra e allo stesso modo Dimora Palanca è stata divisa in piani che corrispondono ai quattro elementi: al -1 il Fuoco dove è protagonista la cucina, al primo piano l’Acqua, ed ecco allora camere con vasche idromassaggio e docce emozionali, il secondo piano, più vicino al cielo, è associato all’Aria con quadri con nuance leggere ed infine alla Terra è dedicato l’esterno.
Anche la vecchia cucina è riemersa dal tempo e oggi ospita il ristorante gourmet Mimesi aperto la sera sia ai clienti dell’hotel che ad esterni. Alla guida Giovanni Cerroni che, appena trentenne, dalla periferia di Roma, ha deciso di puntare più in alto e oggi è il capo brigata. Come ogni grande chef, anche Cerroni è un artista e guarda dentro le sue radici, nella sua anima, dentro ciò che lo affascina e ha segnato il suo percorso. Come gli studi in psicologia fatti prima di approdare nelle cucine europee. Da qui l’idea di menù degustazione in cinque, sette e nove portate, denominati rispettivamente Super io, Io ed Esse, rifacendosi alla psicoanalisi freudiana. Una idea originale per rivelare, usando le sue parole, che “senso estetico, tecniche e avanguardia sono a favore dell’esplosione dei sensi. Una scelta che deriva dalla consapevolezza che nel fine dining talvolta il gusto viene trascurato”. Cerroni parla di “una rivoluzione gastronomica, una cucina che deve parlare a tutti” per un “Make it new” citando sempre il grande poeta e critico americano Ezra Pound, che esalta perfino un piatto semplice della tradizione, come le alici marinate.
Così come era stato concepito, dalla famiglia Palanca, la Dimora è ancora luogo di condivisione che ruota, oggi come allora attorno all’arte, al senso del bello e del piacere. Nella vocazione di creare agio e nuove visioni di Firenze per gli ospiti, Dimora Palanca è il privilegio di entrare in intimità con l’arte.