BEHIND THE BAR, LA MIXOLOGY SECONDO ALIA AKKAM

Le prime insegne della storia, i precursori della mixology scolpiti nell’immaginario, capaci di scrivere e shakerare con la medesima disinvoltura. Il bar e i suoi miti, come Jerry Thomas (1830 – 1885), padre dell’arte di miscelare statunitense e autore del primo libro di cocktail della storia, un barman imprenditore, che nella seconda metà dell’Ottocento, sorprendeva gli avventori nel suo famoso locale di Broadway, lanciando innovative creazioni alcoliche come l’acrobatico e incendiario Blue Blazer. Harry Craddock (1876 – 1963), che militava nel sontuoso e scintillante bar dell’Hotel Savoy, sullo Strand di Londra, secondo molti il primo american Bar d’Europa, a cui si deve la paternità di decine di ricette, confluite nel volume The Savoy Cocktail Book che il famoso barman diede alle stampe nel 1930. E naturalmente Giuseppe Cipriani (1900 – 1980) ideatore dell’Harry’s Bar di Venezia, dalla cui genialità nacque il Bellini, forse il più longevo american bar d’Italia, seconda casa di Ernest Hemingway. Pietre miliari della miscelazione internazionale, che hanno ispirato centinaia di insegne nel mondo, mentre dopo quasi due secoli dall’epoca di Jerry Thomas, il Bar trova nuove dimensioni per esprimersi, insieme agli hotel luxury, vera culla del ‘bere bene’, dove vi sono i cocktail bar, templi della miscelazione, guidati da barman di indiscusso valore, non di rado con una laurea in tasca, nei quali tutto viene preparato home made, per sfornare carte drink che non si erano mai viste, a base di cocktail con prodotti naturali.

Cosa è diventato il mondo della mixology oggi? L’unico modo per scoprirlo è andare di persona a toccare con mano, e se non abbiamo tempo di prendere aerei e treni superveloci, non resta che affidarci ad Alia Akkam e al suo volume “Behind the Bar – 50 cocktail con il gin, dai bar di tutto il mondo”, edito da Guido Tommasi Editore. Certo dovremmo tenerci la sete, ma sarà altrettanto coinvolgente. Ci sono molti modi di vedere il bar, c’è chi lo vede come un luogo di divertimento dove recarsi a trascorrere qualche ora in allegria, chi come un ufficio, dove darsi appuntamento per lavoro, chi un luogo elettivo per far capitolare l’ultima conquista, chi lo frequenta semplicemente per bere bene, sapendo che al bancone c’è un professionista; tuttavia, per molti è solo un’evasione fine a sé stessa, che non va oltre al drink o ai drink. Cosa nasconde quel cocktail? Cosa vuole dirci il barman, quale è la sua storia, perché quegli ingredienti e quella modalità espressiva? Un tema che ha attratto la giornalista e scrittrice Alia Akkam, tanto che ne ha fatto un volume dove ha riversato i suoi appunti e le sue riflessioni. Forse per la prima volta un cliente competente e non un barman, cerca di spiegare dal suo osservatorio il mondo del bar e della mixology, ma non senza aver visitato uno per uno i bar e aver conosciuto uno per uno i barman e le barmaid menzionati nel volume.

Sono 170 pagine dense, che annoverano 50 ricette a base di gin, preparate ad arte da alcuni tra i migliori professionisti del bicchiere, con una descrizione dettagliata dei processi, ma anche un viaggio alla scoperta dei migliori bar del mondo, sulle tracce del distillato londinese, protagonista assoluto del mitico Martini Cocktail, un drink che anche Nikita Krusciov, in piena Guerra fredda arrivò a definire “l’arma più letale mai inventata dagli americani”. Un periplo dei gin bar del mondo, in un momento in cui il famoso distillato londinese vive un vero e proprio momento d’oro, grazie a un mercato che offre oltre 6.000 selezioni diverse, nel quale scoprire i segreti dei bartender, delle barmaid, dei bar e le loro storie mirabolanti. Al Batman Building di Singapore c’è il cocktail Bar Atlas, 7.400 piedi quadrati tra gotico e art déco, dove Jesse Vida, prepara al tavolo l’Atlas French75 con pesca e sale, alle spalle di una torre di otto metri piena di bottiglie, con 1.300 etichette di gin differenti, alcuni che risalgono al 1910. A Houston c’è il Julep Bar, sorto in una vecchia fabbrica di uniformi del XIX secolo, dove Alba Huerta, una barmaid in perenne ricerca delle tradizioni del sud rurale, ispira una ragionata carta dei drink, che contiene ad esempio lo Snakebite, reinterpretato con sidro e gin alla camomilla, un fiore utilizzato tradizionalmente in quell’area come rimedio contro i morsi dei rettili.

Di fronte alle Petronas Towers di Kuala Lumpur, c’è il Bar Trigona, dove la lista dei drink è incentrata sugli ingredienti locali. Dal Gin Tonic con le prugne, al Gin alle amarene con fiori di Etlingera, al kombucha con la pegaga, un’erba tipica che è un pilastro della medicina ayurvedica dai molteplici benefici, a partire dal sistema nervoso, alla rigenerazione dei tessuti. A Città del Capo, nella ex sala d’imbalsamazione di una camera mortuaria, dove c’era una rivendita clandestina a cui si accedeva solo con il passaporto, dal 2014 sorge The Gin Bar. Per vivere appieno l’esperienza si inizia con un importante selezione di raffinati vini sudafricani e si prosegue con l’estesa selezione di gin di produzione locale. Sono 80 le etichette, da assaggiare nei cocktail o nella House remedies (rimedi della casa), una speciale lista di Gin & Tonic, dove trovare anche The Hope, con gin, olive e basilico. A Trondheim, in Norvegia c’è il Bar Britannia, frequentato dai reali e dalle celebrità, dove Oyvind Lindgjerdet ha ideato una sezione della drink list dedicata alla storia locale. Da non perdere il cocktail champagne rivisitato, con gin affinato in botte, cordial di mele home made, chartreuse verte, in luogo di cognac e bitter. Ad Atene c’è il Baba Au Rum, del carismatico Thanos Prunaros, un cocktail bar che dal 2009 ha promosso il rinascimento della mixology in Grecia. Tra le più riuscite il Baba’s Smash una variante tipicamente ellenica grazie all’impiego della mastiha, un liquore ottenuto con la resina di mastice che cresce solo sull’isola di Chio.

A Nashville nel vecchio locale caldaia di un’antica lavanderia, con tanto di canne fumarie e mattoni a vista, c’è l’Old Glory, un coinvolgente contesto industrial-chic, dove la barmaid Emily Wilcher prepara il suo Two Suns, che contiene un gin aromatizzato con tè alla curcuma, carote, arancia, miele. Al Koda di Giacarta, al sicuro dal traffico caotico esterno, c’è l’elegante bartender giapponese Yutaka Nakashima, che consiglia la migliore delle miscele, in relazione allo stato d’animo in cui versa ognuno dei suoi avventori, come il rinfrescante e gustoso Apple-Lauding, con Bombay Sapphire, succhi freschi di mela e limone, cannella, rosmarino, miele, vermouth bianco. Al Cairo, c’è il sontuoso Bar Shinko, dove tra pareti di marmo scuro, lampadari di cristallo, tende verdi smeraldo, Walid Merhi sposta l’asticella dell’impossibile, con una carta sperimentale sempre in movimento, a base di distillati egiziani con frutta, verdura e spezie, ma anche Gin fizz al polline, Martini all’anguria e lo Shinko Sour con gin al timo, agresto, miele di fiori d’arancio, olio di oliva. E se ancora non basta si può portare un liquore da casa e i barman prepareranno un cocktail a base di quello. Ma nel volume della Akkam non poteva mancare l’Italia, ben rappresentata dall’american bar l’Antiquario di Napoli, al 46° posto della World’s 50 Best Bars, guidato dall’ottimo Alex Frezza, figura di primo piano della mixology italiana, aperto nel 2015. Da non perdere il drink Un tè nel deserto firmato dal bartender in omaggio all’ospitalità del Marocco e all’usanza di offrire agli ospiti un tè alla menta caldo a cui è ispirato il cocktail, che viene servito in teiera, ma ghiacciato.

Alia Akkam è nata nel Queens a New York ed è cresciuta a Long Island, scrivendo racconti e coltivando il sogno del viaggio. Poi la Scuola di Giornalismo all’University of South Carolina, che la introduce al mondo dell’editoria e il lavoro di copywriter e editor, occupandosi di viaggi, food, bar e design, fino al 2015 quando decide di trasferirsi a Budapest.