RINALDI 1957, LA QUALITÁ INTORNO AL MONDO

Le etichette e i comunicati lo dicono chiaramente, se ne riesce quasi a percepire l’orgoglio. Rappresentato da Rinaldi 1957. Ben più di un’azienda di mera distribuzione, piuttosto un sostegno e un’arma aggiunta per il successo dei brand che scelgono di affidarvisi. Una filosofia di qualità, coerenza e dedizione, “perché rappresentare un prodotto significa crederci e supportarlo in prima linea, sempre“, come racconta Gabriele Rondani, Direttore Marketing&PR di Rinaldi 1957. Correndo su questa linea nel corso degli anni, il team dell’azienda bolognese si è recentemente arricchito di una personalità eccellente e nota nel settore, Walter Murcielago Gosso, bartender pluripremiato che dallo scorso anno ricopre il ruolo di Advocacy Manager.

È stato Gosso a guidare la degustazione esclusiva al BV Club di Milano, dai più (e a ragione) considerata l’apertura dell’anno in città, e non solo: la partnership tra il flair bartender Bruno Vanzan, campione del mondo di specialità e ormai del tutto inserito in contesto imprenditoriale, e Mario Farulla, già a capo del Baccano di Roma che nel 2019 approdò nei cento migliori bar del mondo, e lo scorso anno inserito tra le cinquanta personalità più influenti nel mondo dell’ospitalità del bar. Premesse di livello assoluto, quindi, rispettate con merito dalle bottiglie presentate alla cieca, tutte fedeli alla filosofia di Rinaldi 1957, che vanta un portfolio “dove non esistono prodotti concorrenti tra loro”, e ciascuna biglietto per un itinerario ai confini del mondo.

Esordio intrigante con Polugar: l’antenato della vodka, che aveva rischiato di finire a impolverarsi in soffitta verso la fine del diciannovesimo secolo, quando il monopolio di Stato russo proibì la distillazione di cereali. La regola vige tutt’ora, tanto che Polugar elegge come sede di produzione l’europea Polonia, dove la distilleria Rodionov & Sons è costruita nel mezzo di una foresta; qui si continuano a utilizzare alambicchi in rame e processo discontinuo, permettendo al distillato di rivivere con le sue note di spezia, agrume, frutta (ben lontane da quelle decisamente più dritte della vodka) e una gradazione alcolica decisamente meno impattante (38.5%), in passato stabilita con metodi non poi così ortodossi. Polugar vuol dire infatti bruciato a metà: per testarne il contenuto etilico, ne venivano incendiate due tazze, aspettando che solo una di queste evaporasse del tutto. Il catalogo Rinaldi ha anche la versione Garlic&Pepper (Aglio&Peperoncino), strepitosa per un Bloody Mary da ribilanciare.

Rientro in Italia per la seconda tappa: Vermouth di Torino Rosso Montanaro, categoria di prodotto inconfondibile già al naso, ingentilito da sentori dolci di camomilla. Sorso suadente, c’è la china, l’agrume amaro, i chiodi di garofano. Il Trebbiano, vitigno tradizionalmente utilizzato per il vermouth (o vermut, dicitura piemontese comunque ammessa) si arricchisce qui del supporto gentile del Marsala Vergine, intuizione che dona colore e soprattutto velluto all’esperienza in bocca. Prodotto amabile, versatile per definizione: già notevole se ghiacciato, prima del pasto, dà enormi soddisfazioni in una miscelazione classica e senza fronzoli, che ne esalti al massimo le note morbide. Negroni, o in alternativa cocktail storici che prevedano del whisk(e)y, come Boulevardier, Manhattan o Rob Roy. 

Poi, uno degli ultimi ingressi in scuderia. Pisco Portòn, espressione pregiata del prodotto nazionale peruano. Una distilleria fondata addirittura nel 1864, tutt’oggi gestita a impronta familiare da un nucleo del quale fa parte Johnny Schuler, forse il massimo esperto di pisco al mondo. Assaggiato nella proposta acholado (un blend, chiamato così perché in origine realizzato dai cholos, contadini, cui andavano gli scarti di produzione), rivela un bilanciamento gradevolissimo, che nei cocktail iconici della cultura indigena esplode in una bevuta pericolosamente facile: Pisco Punch (storicamente fatto risalire alla gold Rush di San Francisco, fatto con succo d’ananas e succo di lime) e Pisco Sour, che non ha bisogno di troppe presentazioni. Portòn gode di una gamma superlativa, che oltre all’Acholado comprende tutte le varianti possibili: Puro, distillato quindi dal mosto di una sola delle otto uve pisqueras coltivate nel sud del Perù, o Mosto Verde, distillato da mosto fermentato solo parzialmente.

Gli ultimi scali sono agli estremi del globo. In Martinica, prima, per il rhum agricole Saint Etienne: succo di pura canna da zucchero, espressione importantissima e vera di un prodotto secolare. Graffiante, crudo, attraente, viatico di grandissima espressività in modalità di bevuta Ti’ Punch (con zucchero e lime, senza neanche miscelare). Poi dove il sole sorge, in Giappone per il Whisky Kamikiil respiro di Dio. Distilleria di Nara, limitrofa a uno dei templi shintoisti più antichi del pianeta. È l’unico whisky al mondo che finisce il proprio invecchiamento in botti ex cedro giapponese, lo stesso legno utilizzato per la costruzione di pagode e case di culto, foriero di sentori unici e ipnotici. Potenza assoluta sia al naso che al palato, un abbraccio profondo tra profumi d’Oriente (spiccano le essenze tipiche della cosmetica, il sandalo, il loto) e venature più continentali come miele, frutta secca, rovere. Esperienza di bevuta sontuosa.

Il viaggio va chiudendosi nelle Filippine, per una visita in uno dei luoghi più rappresentativi di Rinaldi 1957. Sugarlandia, l’isola di Negros, dove risiede la distilleria di Don Papa: in degustazione la versione invecchiata in botti ex rye whiskey, che conserva la tipica nota di vaniglia, marchio a fuoco del brand, pur liberando note di spezie più complesse e meditative.

Rientro in Italia, infine, con la superlativa Grappa Cannubi, cru di eccellenza di Nebbiolo da Barolo: palato elegantissimo, ulteriormente cesellato grazie all’invecchiamento significativo di almeno quattro anni in rovere. È l’ultima fermata, si scende. Ma se si potesse, si partirebbe subito già domani.

 

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