IL “TERRENO SVEDESE” IN CHIANTI

E’ universalmente noto che l’area chiantigiana goda di fama eccelsa in Italia, così come in gran parte del resto del globo, probabilmente per i suoi non eccessi, sempre sobri ed eleganti, nonché per i suoi sporadici difetti in termini di luminosità. Già, ci troviamo davvero nel frangente, in cui la genuinità del territorio toscano esprime il suo meglio in un continuo saliscendi di rilievi e di valli che rendono il panorama estremamente vario e allo stesso tempo creano una grande diversità di microclimi. In più, dove le giaciture, ovvero l’inclinazione delle superfici, sono essenzialmente collinari.

Benvenuti allora a Terreno, una deliziosa azienda agricola che sorge un po’ nascosta nei pressi di Greve in Chianti, tra fertili poggi, uliveti, vigneti, querce e castagni, la cui villa risale al XVI secolo e il cui paesaggio adiacente si rivela, a dir poco, idilliaco. Il tutto nasce nel 1988 quando la famiglia Ruhne decide, in poche ore, di acquistare la tenuta dell’allora fattore Biffoli e di intraprendere un’avventura italiana, dopo aver stappato per la prima volta, sempre in quel breve frangente, una bottiglia di Chianti Classico.

Sofia Ruhne

Folgorata quindi da tale mix di paesaggio e cultura, la casata svedese non ha il minimo ripensamento, perché il desiderio di conoscere più a fondo l’Italia è semplicemente immenso. Di lì, a breve, decide di sviluppare le cose sul serio, inserendo nella squadra il validissimo enologo Federico Staderini per impostare un progetto continuativo e soprattutto qualitativo. Probabilmente Federico rappresenta, tuttora, una delle persone che riesce meglio in questo comparto a unire la competenza alla sagacia e la sapienza all’ironia. E il tutto “nello stesso bicchiere”. Insomma, in poche parole: un uomo unico, simpaticissimo, ultra colto.

Federico Staderini (sx)

Partiamo in primis dalle sue conoscenze in ambito storico-geografico: “prima di Terreno e prima di Greve, noi qui siamo a Citille, dal latino Cetinulae, ossia tagliate di bosco. E tale areale si collocava nell’anno 1000 tra la Badia di Montescalari e la Badia di Passignano, i cui proprietari erano i monaci benedettini appartenenti alla congregazione vallombrosana”. Per poi proseguire con le sue padronanze dal punto di vista dell’inquadramento geologico: “senza farla troppo complicata, dove ora sostiamo, si incontrano due mondi: il celebre Macigno Toscano, cioè sostanzialmente sabbie e galestri, chiamato da queste parti pure Filaretto del Chianti e le serie liguri, rappresentate invece da calcari marnosi (Alberese), quando grosso modo Barcellona si baciava con Livorno prima che questa antica tedide si aprisse”.

Il Terreno Bianco Professore 2016 (Petit Manseng, Roussane, Malvasia, Trebbiano) è sì un flirt con la Francia, ma rimane un solenne inno alla beva senza lasciarsi sfuggire la personalità toscana, nonché un bel tributo al noto giurista e vicino di casa Paolo Grossi. Il Terreno ASofia Chianti Classico 2015 (Sangiovese in purezza), d’altro canto, mette in evidenza il proverbiale nerbo del vitigno di partenza con intensità e coerenza territoriale.

Da un paio di mesi, infine, ha preso voga anche un delizioso angolo di cucina indigena con un tocco di finezza scandinava. Fabian Olli Johansson (fresco vincitore del premio giovane chef dell’anno 2019 in Svezia), Amanda Lydahl e Francesco Galli interpretano piatti ambiziosi e succulenti, scostando per il momento le dicotomie tra internalizzazione e localismo, ma caldeggiando, speriamo per tanto, l’elaborazione e l’autenticità.

 

terreno.se