FRIDA KAHLO E LE COSE CHE DOVREMMO IMPARARE
La vita di Frida Kahlo, ancor più delle sue opere, è un riferimento che trascende il tempo nel suo insegnare l’audacia, l’indipendenza, l’amore e l’arte. Prende le ombre e le difficoltà con cui ha affrontato fin da subito i primi passi sulla terra e li rende opportunità. La spina bifida con cui è nata, l’incidente che l’ha immobilizzata a letto per un tempo infinito, il busto ingessato, le cure e le operazioni mediche, l’amore persino.
Non si affida allo sconforto ma fa quello che può con quello che ha: inizia a leggere libri sul movimento comunista, alimentando quel moto rivoluzionario che la fa sentire figlia della rivoluzione messicana del 1910 e che la porterà a vivere la politica e il Partito Comunista Messicano come tramite di indipendenza e dinamicità. Poi dipinge soprattutto, in primo luogo come sostentamento per la famiglia e non di meno per donarsi generosamente attraverso le emozioni, rendendo i pesi quotidiani delle ali con cui volare.
“Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni” sosteneva Frida Kahlo. La sua pittura è quello che la scrittura di Hemingway è nella letteratura: sincera, prima di ogni cosa. I primi lavori furono autoritratti, retaggio del tempo passato a guardarsi attraverso lo specchio sospeso sul letto a baldacchino. I suoi occhi vedono una donna rotta, martoriata, fragile ma mai vittima di se stessa. Colora la realtà con humor e folclore messicano, stimolata anche dal padre che fu sempre fedele alleato nello sviluppo mentale e creativo di Frida, liberandosi del dolore e trasformandolo in arte esorcizzandolo. Passa due anni a dipingere poi, stabile sulle gambe dopo aver imparato di nuovo a camminare, cerca l’opinione di Diego Rivera, per comprendere se l’arte è la strada giusta da perseguire.
Ciò che non fece l’incidente in autobus, fece l’amore. Lui imponente, magnetico, carismatico e seduttore; lei giovane, sicura, quasi sfrontata. I due si innamorarono e, nel 1929, si sposarono. Le conseguenze di quell’amore furono lettere sanguigne e appassionate, tradimenti ambivalenti e consapevolezza del dolore, continui aggiustamenti di rotta per un amore decisamente non convenzionale. La potenza di questo legame forse, era la profonda libertà che l’uno riconosceva all’altra: la figura mascolina di lei e la non celata bisessualità perfettamente si incastravano con la sensibilità “femenina” e la tenerezza di Rivera. Si nutrivano, sostenevano e sposavano la stessa finezza mentale e gli stessi pensieri sociali.
Gli abiti, ad esempio, indossati da Frida erano un chiaro messaggio di vicinanza con la popolazione indigena delle donne di Tehuantepec e non servivano solo a celare il suo andare claudicante. Il dolore più grande, anch’esso apparso in uno dei suoi quadri più celebri quale Ospedale Henry Ford (O il letto volante) del 1932, è stato il non poter diventare madre, vittima di un corpo che non la sosteneva: fu questa privazione a rendere la sua opera ancora più personale e introspettiva. Da quel momento, e dal tradimento di Diego con la sorella minore di Frida, subentra la grande potenza interiore dell’opera della pittrice. Nessuno, come lei, è riuscito a estrapolare il dolore e renderlo arte attraverso la forza della volontà. Chi, in effetti, sarebbe riuscito a vivere la vita di Frida esattamente come Frida? È forse questa la “grazia nelle avversità” che sempre Hemingway inseguiva nel suo vivere? È questa la determinazione a non essere debole?
Un altro dolore incanalato in arte fu il divorzio da Diego Rivera che divenne Le due Frida (1939). Nuovamente dolore, nuovamente arte salvifica. Sapeva che doveva liberarsi da quel peso ma che sarebbe stato, come sempre, complesso. Infatti fu un arrivederci, non di certo un addio per una coppia che si è sempre sostenuta. La felicità di quel periodo furono pennellate di colore, animali e quell’aria calda che si respirava a Casa Azul. Ma la salute di Frida aveva uno sgambetto pronto per lei, l’ennesimo. Il dolore si faceva sempre più lancinante, l’ennesima operazione la attendeva a New York. Doveva dipingere, anche se i medici lo sconsigliavano vivamente, ma se il male era trasposto in un immagine era meno presente all’interno del suo corpo. La sua forza d’animo, il suo attaccamento alla vita la portarono a presentarsi nel letto di ospedale per ricevere la gloria meritata durante l’esposizione personale in Messico del 1953 “Sono distrutta, ma sono felice di essere viva finché posso dipingere” disse a un giornalista del New York Times. L’anno successivo morì, dopo la dipendenza da droghe e alcool che rendevano gli ultimi istanti più sopportabili. Si dice che Diego l’abbia aiutata a morire, quello che è certo è ciò che è rimasto di lei, della sua perseveranza e della sua tenacia a vivere ogni istante nel bene e nel male.
Ognuna di queste sfumature è vivibile sulla pelle attraverso una mostra interattiva presente alla Fabbrica del Vapore fino al 28 marzo, Frida Kahlo. Il Caos dentro. All’interno dell’esposizione è possibile seguire dei percorsi tematici per immergersi completamente nel mondo di Frida e accedere a focus dedicati alle singole opere. Si tratta di una modalità nuova per approfondire la conoscenza dell’artista messicana grazie a contenuti originali che spaziano dal rapporto di Frida con il corpo, alle sue relazioni con la politica, fino al valore di una pittura che va ben oltre la leggenda pop.
Oltre alle opere d’arte proposte in formato Modlight, la Collezione presenta anche centinaia di fotografie personali, ritratti d’autore, lettere, pagine di diario, abiti e gioielli ispirati all’artista, per un viaggio a 360 gradi nell’universo di Frida.