COOKART, IL PRIMO MENÙ DEL 2021

Merita sempre una certa ammirazione, chi si pone l’obiettivo di stimolare la condivisione mettendo al centro l’uomo con le sue competenze e le sue relazioni, dando spazio alla formazione e alla promozione dei giovani cuochi. Specialmente in questo periodo difficile, il confronto e la coesione non devono mancare nell’enogastronomia e vanno alimentati anche attraverso piccoli gesti quotidiani.

Martin Mairhofer

Una filosofia, questa, che sta alla base del progetto Cookart, fondato dall’alto atesino Martin Mairhofer. “Cookart è un contenitore di uomini ed esperienze, che trae linfa da diverse generazioni di cuochi” ci conferma Martin Mairhofer “li mette in connessione anche se sono a migliaia di chilometri di distanza, con l’intento di unire la loro passione e aumentare le possibilità di fare esperienze lavorative nel mondo. Con il loro lavoro gli chef possono fare felici le persone: impiegando ricette e prodotti regionali possono traslare le proprie usanze nel mondo, comunicando l’importanza e l’unicità delle biodiversità e dei territori”. Solide radici alto atesine e un corposo bagaglio di esperienze hanno portato Mairhofer ad essere selezionato dal Global Masterchef, entrando a far parte di un’organizzazione internazionale certificata che annovera i migliori chef del mondo.

Prima di allora, Martin ha compiuto esperienze di rilievo nei migliori hotel sud tirolesi, in un denso apprendistato con cui ha completato la sua formazione per diventare maestro di cucina. Poi sono arrivate le nuove stimolanti sfide della cucina dietetica e salutare, confermate dal diploma internazionale di cucina dietetica. Nel mentre, ha fondato Cookart, una rete internazionale che unisce cucine e chef di tutto il mondo creando un fil rouge tra giovani leve e chef affermati del calibro di Juan Amador (Austria – 3 stelle Michelin – Amador Restaurant), Norbert Niederkofler (Alto Adige Italia – 3 stelle Michelin – St.Hubertus), Hans Neuner (Portogallo – 2 stelle Michelin – Restaurant Ocean), con cui ampliare la sfera dei contatti. “Vorrei rendere semplice la cucina di alto livello” conclude Mairhofer – “riuscendo a produrre dei menu non necessariamente complessi, con ingredienti di facile reperibilità ma di altissima qualità, dalle vongole all’agnello. La consulenza a hotel e ristoranti, frutto delle competenze che ho acquisito in alcuni decenni di gavetta, è il mio modo per dare un contributo a questo bellissimo settore, in un momento particolare della nostra storia, dedicandomi a progetti innovativi e in particolare all’ideazione di nuovi sistemi gestionali per la cucina e il reparto food, con l’obiettivo di migliorare le tempistiche e la qualità del lavoro”.

Relazioni, progetti e un’intensa attività associativa, ma anche abilità culinarie e ricette. E sono proprio queste ultime che Mairhofer presenta nel suo menù di inizio anno, scortate da vini che sanno instaurare con tali piatti una profonda armonia. Si comincia con l’aperitivo, che vede il protagonismo della bollicina. I vini di Monterossa richiamano le macchine lussuose ed eleganti. Ciò è vero soprattutto per le diverse versioni del Cabochon: quello classico, il Fuori Serie, il Rosé e lo Stellato, prodotto solamente una volta nella storia della cantina, esattamente nell’anno 2005. Il paragone con le automobili serve per suggerire una possibile interpretazione del Cabochon 2014, che non è una limousine né un’auto d’epoca, ma bensì un bolide da gara, una Formula 1. Il suo color giallo oro suggerisce già qualcosa di prezioso. I profumi che si percepiscono sono molteplici, dalle classiche tracce d’affinamento, come la crosta di pane, la brioche e il burro fuso, alle note varietali, quindi la frutta gialla e verde leggermente esotica, matura e calda. Un sottofondo profumato di mango e limone maturo viene esaltato, lasciando quasi un ricordo di pietra focaia che va ad arricchire l’insieme. Il palato è fresco, tagliente, affilato e verticale. Il Cabochon è dotato di un’incredibile acidità che gli garantisce bevibilità e freschezza. Corpo e struttura si mantengono unite e compatte in un’intensità che si protrae in modo uniforme ed elegante. Ottima struttura e persistenza, finale lungo e salato: un grande millesimo che esprime l’essenza di Monterossa. La sfilata delle portate si introduce con l’antipasto:  un Petto d’oca affumicato con cavolo rosso cotto, marinato sotto vuoto con spezie e vino. Il petto tagliato sottile e condito con mirtilli rossi, in forma di marmellata e in forma di crema, olio EVO, fior di sale, limone e insalatina. L’abbinamento pensato per questo piatto è quello con il Timorasso Fausto 2016 di Marina Coppi. “Fausto”: un vino simbolo per la cantina Coppi, dedicato al famoso nonno Fausto ‘il Campionissimo’. Ricco di carattere e personalità, il Timorasso Fausto interpreta il terroir estraendo al meglio il timbro varietale in combinazione con la zona di provenienza.

L’Azienda Vigne Marina Coppi è giovane e all’avanguardia, nata nel 2003 dalla passione e dalla dedizione di Francesco Bellocchio, che è riuscito a intuire il potenziale di questo territorio. Il Timorasso, vitigno storico dei colli tortonesi, è una varietà classica in grado di estrapolare bene le note del terroir dalle influenze climatiche a quelle minerali del terreno in cui viene allevato. Il Fausto avvolge con differenti sfumature, che vanno dalle leggere note esotiche di melone e papaya, a quelle più intense di mela verde e gialla. Il palato è sorprendente: grassezza e freschezza, ben combinate assieme, sono in grado di conferire al vino eleganza e compattezza, con la sensazione minerale, leggermente sapida, che affiora sul finale. Un Timorasso davvero persistente, dal retrogusto di frutta secca, con un ritorno esotico intenso. Un vino dalla notevole concentrazione e potenza, che si abbina perfettamente al piatto scelto, esaltandone anche le componenti minori.Si procede con il primo piatto, i Conchiglioni Monograno Felicetti con vongole veraci e pomodori datterini, a cui si accosta un grande Barolo Bussia 2016 dell’azienda Giacomo Fenocchio. I Barolo di Giacomo Fenocchio appartengono ormai ai ‘must have’ del panorama territoriale delle Lange. Si tratta di una famiglia di produttori storici con un enorme bagaglio di esperienza, in particolare per quanto riguarda la varietà Nebbiolo. Claudio Fenocchio risponde così alla domanda circa la sua interpretazione del nobile vino di Langa che riporta la menzione Bussia: “Malgrado la sua grandezza, il Bussia è un vino quotidiano che si riesce a bere ogni giorno, in abbinamento a tante diverse culture culinarie, offrendo un’interessante versatilità ed esprimendo profondamente le sue caratteristiche peculiari. La longevità è la sua forza: si tratta di un vitigno che, se lavorato come si deve, riesce a garantire un potenziale d’invecchiamento davvero importante, migliorando con il passare del tempo ed esprimendo in modo netto il terreno dove è stato allevato”. Il Bussia di Fenocchio si introduce con suggestioni di fragola, mirtillo e ciliegia poco matura, fresca, croccante, in armonia con il bouquet floreale dove spiccano su tutto la viola e la primula. Al palato sentiamo la potenza del terreno, quella dolcezza e quella spinta strutturale del Bussia. I tannini sono presenti ma non invadenti, mescolati alla grande freschezza. Un finale minerale e tagliente garantisce alta bevibilità e versatilità con la cucina, proprio come afferma Claudio Fenocchio. Un grande vino, ottimo da bere in una fase più giovanile, ma sorprendente se si ha la possibilità di lasciarlo riposare qualche anno.

Si giunge così al secondo piatto: Costina di agnello degli alpeggi alto atesini – della società Wippland, specializzata nell’allevamento di agnelli e pecore – con patate della Val Pusteria e piselli saltati, battuti al coltello. La salsa è una riduzione di agnello emulsionata con burro di malga e vino rosso. Un piatto complesso, che vede un possibile abbinamento con due etichette, il San Leonardo 2015 e il Petrucci Vigna del Melo 2016.Tra i tagli bordolesi storici italiani, il San Leonardo è uno dei più luminosi esempi del nostro panorama vitivinicolo, non di rado preso a riferimento quando si tratta di grandi vini internazionali. Un vino che riesce a soddisfare pienamente il palato di chi lo assaggia sia in una fase evolutiva giovane che in quella di maturazione più avanzata. La sua affinità con le preparazioni a base di carne lo rende perfetto per abbinarsi a piatti come questo. Il connubio si svolge già a livello aromatico: il profumo della carne alla griglia, con quel tocco fumè addolcito da un sentore leggermente sanguigno, si sposa perfettamente con la grande trama fruttata di questo vino. La marasca, la ciliegia matura e la prugna viola si combinano con leggere note vegetali, che donano freschezza e pulizia, mantenendo un piacevolissimo equilibrio. Al palato il San Leonardo esprime al meglio la sua origine bordolese, andando a toccare diverse tipologie di spezie, da quelle più semplici di vaniglia a quelle più complesse di the nero e pepe bianco. Il tannino è ben presente, avvolgente, morbido, fine. In un’annata calda come la 2015 la struttura del vino si mantiene compatta, supportata dall’acidità e dalla freschezza che conferiscono grande bevibilità e capacità di accompagnarsi a molte tipologie di pietanze diverse. Il San Leonardo è un vino da subito molto piacevole all’assaggio. La sua peculiarità è quella di avere un incredibile potenziale di invecchiamento che migliora anno dopo anno e raggiunge livelli altissimi. Provare per credere. In alternativa al taglio bordolese, c’è un’altra proposta per questo piatto. Con l’agnello, infatti, risulta molto soddisfacente l’accostamento al Sangiovese. Si ha bisogno, comunque, di un vino moderno, capace di fronteggiare adeguatamente il sapore intenso della carne e riuscendo, al contempo, a completarla. Per questo, un valido candidato è il Petrucci Vigna del Melo di Podere Forte. A livello aromatico i profumi sono più che coinvolgenti: la marasca e una leggera nota di prugna matura riescono a dare profondità al vino, sospinte da una speziatura leggera che ricorda diverse tonalità di the, dal nero al verde. Un incentivo a questo profumo molto dinamico viene dato da una tinta vegetale poco percettibile, grazie alla quale lo spettro aromatico si infittisce, aumentando sia la complessità dei profumi che la freschezza. Al palato il Petrucci si mostra da subito morbido e piacevole. La grande struttura è sostenuta da uno scheletro tannico importante, in cui i tannini sono fitti e maturi. Essi lasciano spazio a un’ottima acidità, che mantiene il vino teso ma anche persistente su un finale lungo e fruttato.Infine, si conclude con un gran dessert, un magnum di mousse di mele e cannella con biscuits al cioccolato e panna montata, di cui Martin dice: “É piú facile farlo che spiegarlo, il trucco sta nel congelare la mousse in forme a proprio piacimento e ricoprirle in seguito con cioccolata bianca e cannella”. Per questo dolce, l’abbinamento di elezione è certamente quello con il poliedrico Terminum 2017, della Cantina Tramin. Uno dei migliori vini dolci dell’Alto Adige prodotto da una cantina che, a livello mondiale, si distingue proprio per la produzione di questo vitigno, il Gewürztraminer. Parlando di vini da dessert, il Terminum è una delle punte di diamante dell’azienda e in Italia si posiziona fra i migliori della sua categoria. Il Terminum possiede tutti i caratteri necessari per riuscire a bilanciare l’acidità della mela e il tripudio di sensazioni date dal cioccolato, fin anche la dolce piccantezza della cannella. E lo fa cominciando dal profumo, che ricorda la frutta secca, la pesca e l’albicocca, con una parte caramellata combinata al timbro floreale. Il palato ampio e grasso si attesta su un’ottima freschezza che ben si integra alla struttura del vino, fornendo bevibilità ed eleganza. Le tinte di miele e zafferano riescono a combinarsi perfettamente con la speziatura del piatto, dando una sensazione più completa e piena. Il finale è molto piacevole: il gusto che persiste è un delicato mix di miele, mela e cacao, senza eccessi.

 

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