JEAN-PHILIPPE BLONDET, L’EREDE DI ALAIN DUCASSE
Lo chef tristellato francese è cresciuto alla corte di re Ducasse e ne porta avanti l’eredità. Ma senza ricette, solo ispirato dall’intuizione del momento. L’intervista.
L’alta cucina in alta montagna, un matrimonio che s’adda fare. Anzi, che quest’anno si rinnova, come nelle relazioni più durature e riuscite. Dal 27 al 30 marzo 2025, a Courmayeur, Peak of Taste è stato un appuntamento che ha coinvolto chef (e cieli) stellati circondati da un contesto fuori dal normale, il massiccio del Monte Bianco, la cosiddetta montagna senza confini. Quest’anno è tornato Jean-Philippe Blondet, chef patron del Alain Ducasse al Dorchester di Londra, tre stelle Michelin, affiancato da Emily Roux, figlia di Michel Roux Jr e nipote di Michel Roux, del Caractère, a Notting Hill, Londra. Abbiamo intervistato proprio lui, Blondet che, in qualità di chef patron di Alain Ducasse al Dorchester, porterà la sua visione di cucina.
Dal mercato di Nizza alla corte di Ducasse
Il lavoro quotidiano di Jean-Philippe Blondet è quello che molti degli chef più venerati del mondo possono solo sognare. Lo chef francese, di Nizza, classe 1980, va a lavorare ogni giorno in uno dei più grandi e rinomati ristoranti della Gran Bretagna, detentore di tre stelle Michelin da oltre un decennio. Jean-Philippe Blondet ha iniziato la sua carriera lavorando presso La Bastide Saint-Antoine a Grasse con lo chef Jacques Chibois, seguito da un’esperienza al Sun Valley Resort con lo chef Claude Guigon. Il lavoro accanto ad Alain Ducasse è iniziato nel 2004, presso il ristorante Spoon at Sanderson a Londra. Successivamente, ha lasciato il segno anche al rinomato ristorante Le Louis XV-Alain Ducasse a l’Hôtel de Paris a Monaco. E, dopo un periodo a Hong Kong, è tornato a Londra, dove è diventato sous-chef presso Alain Ducasse at The Dorchester nel 2013, assumendo il ruolo di executive nel 2016, fino a oggi.
Tre stelle Michelin, “figlioccio” di Ducasse, team di 50 persone sotto di lei: la sente ogni tanto un po’ di pressione?
“Indubbiamente, perché non ho alcuna intenzione di perdere neanche una stella. Quando ne hai tre, poi, è ancora più difficile perché devi essere al top del tuo gioco, spingere per creare sempre qualcosa di nuovo”.
Lei è cresciuto a Nizza, città che risente di molte influenze italiane. Quanto si sente vicino alle sue origini?
“I miei genitori erano entrambi amanti del buon cibo, con mia madre andavo spesso al mercato, dove ho imparato a dialogare con i venditori, a riconoscere i loro prodotti, a confrontarli, a strappare il miglior pezzo. Quindi sì, mi porto dietro questa cosa qui. Sono stato molto fortunato: sapevo cosa volevo fare fin dall’inizio, per certi aspetti è stato facile”.
Come nasce una ricetta?
“Non ho ricette, perché non ci credo. Dipende tutto dalla sensazione del momento. Cerco di rilassarmi un po’, perché a volte quando sei stressato è difficile esprimermi, l’importante è avere la migliore materia prima possibile”.
Qual è la cosa fondamentale nel suo lavoro di chef?
“La coerenza è una delle cose più importanti ma anche la più difficile, ma anche la mia squadra, senza non saprei davvero come fare”.
Ha uno strumento del mestiere che usa più spesso degli altri?
“Il mio coltellino con cui taglio le verdure”.
Ricorda il primo piatto che hai imparato a cucinare?
“Da professionista, il riso pilaf. È stato un disastro: non ho messo abbastanza acqua…”.
Il suo stile in cucina in tre parole?
“Semplice, saporito e salutare”.
Cosa preferisce cucinare a casa?
“Le crêpes con zucchero, un po’ di limone e burro salato”.
Ha una passione per qualche ingrediente?
“Cioccolato. Mai senza”.
Qual è la tua destinazione gastronomica preferita nel mondo?
“Sicuramente lo stile mediterraneo. Spagna, Grecia e, ovviamente, Italia”.
Se non fosse diventato chef, cosa avrebbe fatto?
“L’agente immobiliare. Adoro le case, la contrattazione, il dialogo”.
alainducasse-dorchester.com
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