IL TÈ, PUREZZA E ARMONIA

Non esiste bevanda più diffusa del sul pianeta, così apprezzata a tutte le latitudini. Una bevanda discreta, che non è mai entrata in conflitto con nessuna cultura, con nessuna religione. C’è qualcosa di profondamente estetico nel tè, nella sua purezza, e l’idea del bello pervade ogni momento della sua esistenza: dalla sua nascita nei vivai alle piantagioni che per la verità meritano l’appellativo di giardini, alla sua lavorazione, precisa e scrupolosa quasi come un rituale, dalla sua commercializzazione nelle fascinose aste orientali del tè all’avvenenza epica dei samovar russi, alla buona tazza di tè all’inglese. Non è sfuggita questa caratteristica al Giappone, paese la cui civiltà è intrisa di sensibilità estetica: il Chanoyu, la Cerimonia del Tè, celebra appunto la bellezza e la pacata convivialità, la sobrietà e la meditazione che la bevanda ispira. Il tè rimanda innegabilmente all’Oriente, sua patria di origine, e il suo aroma si sprigiona assieme al sentore dell’esotico, dei viaggi, delle vie carovaniere che si prendevano un tempo per raggiungere l’Occidente.

Una sorta di trait d’union che accomuna due mondi agli antipodi, l’Est e l’Ovest, quasi come se questi si fossero personificati per sedersi fraternamente davanti – per l’appunto – a una tazza di tè. Ma il tè non è soltanto “civile convivenza”, è anche piacere nel gustarlo, apprezzamento del sapore, che distingue le moltissime varietà.

La pianta, originaria della Cina, è un arbusto sempreverde appartenente alla specie delle camelie, i suoi fiori hanno sfumature che vanno dal bianco al rosa, i frutti sono bruni, legnosi e contengono ognuno tre semi, le foglioline sono coriacee, di un bel verde scuro. Le piantagioni offrono spettacoli magnifici in grado di incantare anche il viaggiatore più insensibile al fascino del paesaggio; ogni zona, che si tratti del Darjeeling, dell’Assam o dell’Isola di Ceylon ha le sue peculiarità ambientali che si riflettono nel tè prodotto, un po’ come succede per la viticoltura o per i produttori di olio.

Naturalmente, più si sale lungo le pendici delle montagne, più diventa difficile la coltivazione estensiva e maggiormente inciderà il fattore umano per la raccolta, a tutto vantaggio della qualità. La raccolta più comune punta alle foglie più giovani, al massimo le prime cinque, quelle alla sommità dell’arbusto, mentre la raccolta delle qualità più pregiate si limita alle gemme e alle due foglie immediatamente sottostanti. Dopo la raccolta, le foglie vengono stese e lasciate appassire su ampi graticci, successivamente subiscono i processi di fermentazione, rullatura e setacciatura per sviluppare la teina e per separare le foglie intere, destinate ai tè più pregiati, a quelle più sminuzzate, via via fino alla polvere, adatta per la confezione delle bustine filtro. A fianco del metodo tradizionale di lavorazione, si collocano le speciali categorie oolong (un tè semifermentato), souchong (affumicato con legno di abete rosso), nonché il tè pressato (a volte sotto forma di bassorilievi da spezzettare alla bisogna), e il tè verde, che non subisce nessun tipo di fermentazione.

Quanto al gusto, va sottolineato che senz’altro il palato deve essere in un certo senso educato al gusto del tè, avendo caratteristiche e sfumature molto delicate. I veri tea-taster non aggiungono nulla, né zucchero né latte, né tantomeno limone per assaporarlo in tutta la sua estensione gustativa (meglio eventualmente la buccia di limone, per l’aromatizzazione); persino l’acqua non dovrebbe essere una qualsiasi ma possibilmente acqua pura di fonte o, perlomeno, con caratteristiche basse di durezza e assenza di cloro.

Recentemente riscuotono un certo successo i tè aromatizzati che tradizionalmente dovrebbero contenere oli essenziali, petali di fiori profumati, spezie; è il caso del diffusissimo earl grey, con olio di bergamotto, dei sweet tea con olio di arancia o di limone o del classico tè cinese alla fragranza di gelsomino o di rosa. Fra i tè neri più pregiati il keemun, dal sentore di orchidea; il darjeeling (il più prestigioso tè indiano proveniente dall’omonima regione hymalayana) dal sapore di noci e miele; il tuo-cha, pressato, dal sapore di muschio; l’assam, al sapore di malto; e tutta la categoria dei vintage, dal gusto deciso, nonché gli orange pekoe e gli hunnan, delicatissimi.

Molto più usato in Estremo Oriente, il tè verde da noi è conosciuto soprattutto come greenpowder o sencha e come base per tè aromatici o per miscele, data la sua estrema delicatezza e il suo bassissimo contenuto di teina, che lo rende particolarmente adatto anche per il consumo serale, per i bambini e per tutte le persone sensibili agli eccitanti.

La Cina, la culla del tè, produce i tè più scadenti accanto a quelli più pregiati, coltivati sulle montagne di Kinagsu e di Sichuan, dove vi si producono i tè verdi più rari e costosi al mondo, dai nomi poetici: il pi lo chun, “spira di giada primaverile”, il lung ching, “pozzo del dragone”. Ma la rarità più assoluta è il tè bianco “aghi d’argento”, detto anche tè dell’imperatore, ottenuto per essiccazione (e non per torrefazione) della sola gemma, e prodotto sugli altipiani nebbiosi del Fujian, avvicinabile come qualità soltanto dal tè gyokuro giapponese, il più dolce fra i tè verdi.

L’avventuroso viaggio della bevanda più diffusa nel mondo potrebbe essere però compromesso dalla sua preparazione, che avviene nelle nostre case. I bevitori di tè assicurano innanzitutto la migliore conservazione domestica in barattoli di alluminio, lontano da odori compromettenti e dall’umidità, e distinguono fra bollitore, teiera per l’infusione e teiera per il servizio, che non devono mai essere di metallo: il primo serve per portare l’acqua a ebollizione, la prima teiera serve per l’infusione e va preriscaldata esternamente immergendola per pochi minuti nell’acqua calda; banditi i detersivi per la pulizia, si consiglia di mantenere quella sottile colorazione che compare all’interno, perché ne affina l’aroma. Le dosi dicono un cucchiaino raso da tè per ogni tazza, più uno per la teiera; a infusione terminata (tre, cinque minuti, di norma), si travasa il tutto nella seconda teiera, ovviamente preriscaldata, e si serve nelle tazze. Giunti a questo punto, si può passare a sorbirlo a piccoli sorsi, “soppesandolo” con la mente sgombra, nel più totale dei relax.

 

Chanoyu, la cerimonia del Tè

Questo rituale fu istituito in Giappone nel secolo quindicesimo dal maestro Murata Yuko e si avvale della pratica del Chado, un insieme di norme comportamentali e spirituali che sono i prerequisiti “per giungere all’atto di bere il tè”. L’aspirazione alla calma silenziosa, alla pace meditativa, sono valori poco chiari per una mente occidentale, immersa com’è nella frenesia, tutta tesa al “fare per avere”. Viceversa, in Oriente, il “non fare” è la base fondamentale per giungere all’armonia interiore. È in questo contesto che va inserita la cerimonia del tè, che si avvale dei principi fondamentali del Chado, la disciplina basata sul rispetto, sull’armonia con il creato, sulla purezza e la pace. Quando si decide di offrire il Chanoyu, si scelgono gli invitati che devono confermare quanto prima la loro partecipazione. Ci si presenta rigorosamente in orario (meglio un po’ prima, è un gesto molto apprezzato) e rigorosamente in kimono nel giardino della casa. Gli invitati vengono introdotti nella sala non prima di essersi tolti le calzature, di avere indossato delle calze pulite e di essersi lavati le mani e la bocca. Essi si saranno portati da casa una speciale borsetta con gli accessori necessari: una decina di fogli di una carta speciale che fungono da tovaglioli, i kaishi, una tovaglietta chiamata fukusa, un ventaglio, i bastoncini di legno per mangiare. Il cerimoniere brucia dell’incenso ed elegge il “primo ospite”, generalmente il più anziano. È importante seguire i gesti che questi eseguirà. Una volta introdotti nella stanza, si riverisce il tokonoma, il punto sacro della stanza dove alla parete è appeso un foglio di carta di riso su cui sono riportate delle frasi da meditare. Un braciere ospita il bollitore. Essenzialmente, dopo essersi accomodati, tutti i presenti si curano di avere gesti adeguati alla cerimonia, discreti e reverenziali in ogni fase, e così è anche nel dialogo, inerente alla frase da meditare, alla filosofia, alla poetica. Tutto questo si svolge mentre il cerimoniere con un mestolo preleva il tè verde pronto nella teiera e lo versa nella tazza; prima di porgerla al “primo ospite”, con un frullino gonfia la bevanda fino a ottenerne un composto denso e schiumoso. Se gli invitati non sono molti si beve tutti dalla stessa tazza perciò chi ha finito di bere deve occuparsi di pulire perfettamente la tazza, con un kaishi, prima di porgerla al cerimoniere, il quale servirà il successivo. La cerimonia si conclude con l’ammirazione del servizio da tè da parte degli invitati; dopo di che, questi si congedano secondo un preciso ordine.