TRATTORIA CONTEMPORANEA, IL GIOCO SI FA SERIO

Tregua dalla consuetudine, vivace ricreazione dei sensi, nutrimento che diletta, collisione fra visionarietà di chi cucina e stupore di chi con autentica curiosità gusta, in un’impalpabile gioia dell’assaporare con leggerezza, superando pregiudizi e gusti omologati. È il gioco serio della cucina di Davide Marzullo e della sua brigata a Trattoria Contemporanea, il ristorante che a Lomazzo in provincia di Como rovescia la relazione fra gusto contemporaneo e fine dining.

Trattoria Contemporanea

Trattoria Contemporanea, che già nella dualità del nome esprime un’attitudine al dialogo fra storia e presente, è racchiusa in un grande edificio ottocentesco in mattoni rossi che fino alla seconda metà del ‘900 fu sede di un importante cotonificio fondato a fine Ottocento con pensiero d’avanguardia nel quale lavoravano un migliaio di persone per le quali erano stati predisposti alloggi, mensa e asilo nido. Un’eredità industriale convertita oggi in luogo nuovo nel quale operano numerose aziende innovative, start up e Fabbrica, campus tecnologico dove si intersecano lavoro, arte, cultura, incontro, all’insegna della contaminazione. Il ristorante, parte del progetto, sembra assimilare e riflettere l’insieme di questi stimoli e laboriosità, restituiti in un percorso che gli è valso la stella Michelin a solo un anno dall’apertura.

Trattoria Contemporanea

Gli spazi della sala, libera da pareti, conservano il rigore architettonico dell’edificio post-industriale ma sono ripensati con riguardo alla sostenibilità e alla stessa filosofia antispreco abbracciata dalla cucina, riconoscibili anche nei dettagli, come la semplicità geometrica delle glacette per il vino, generata dal recupero del ferro forgiato da un artigiano locale, o i legni di mobili e taglieri, anch’essi ottenuti dal riutilizzo di materiali. Il risultato è un ambiente sobrio, completamente aperto, illuminato di giorno dalla luce naturale della vetrata a tutta parete affacciata sul verde del giardino nel quale di sera lampeggia il fuoco di un braciere; un ampio spazio dominato dai colori neutri del cemento e dei legni chiari, vivacizzati da opere d’arte pop e piante che devono imparare a convivere con i vezzi umani, essenziale anche nella mise en place, quasi a non voler distogliere l’attenzione dalla cucina a vista, spettacolo teatrale godibile dalla sala-platea. Deroga alla lineare sobrietà, gli ambienti delle toilette, illuminati di rosso e rallegrati da quadri con soggetti trasversali a favola, sogno ed eros al pan di zenzero.

Davide Marzullo, Andrea Noto, Christian Malatacca

Il bello è fatto di un elemento eterno, invariabile… e di un elemento relativo, occasionale” sosteneva Baudelaire, due principi che coesistono e sembrano la chiave di lettura della cucina disegnata da Davide Marzullo insieme ai due sous chef Andrea Noto e Christian Malatacca e a una brigata molto giovane, tutta intorno ai venticinque anni, nata per la maggior parte nel territorio e legata da amicizia dalla scuola. I lampi creativi non sono degli assolo, ma espressioni corali ispirate dalle tradizioni del comasco e da numerosi prodotti locali – poveri o vere perle di alto artigianato – elaborati con rispetto e audacia insieme, in una cucina fine dining briosa e in continuo movimento, riflesso di gioiosa vivacità e della profonda intuizione sulla ricchezza quasi inesauribile della varietà dei prodotti della natura e delle loro possibili combinazioni favorite dalle tecniche della cucina contemporanea apprese in Italia e all’estero. Lo chef Davide Marzullo, classe 1996, include nel proprio palmarès esperienze importanti con Alberto Faccani al Magnolia di Cesenatico (due stelle Michelin), a Londra con il francese Claude Bosi all’Hibiscus e con Hélène Darroze al The Connaught (rispettivamente due e tre stelle Michelin), con René Redzepi al Noma di Copenhagen e con Cannavacciuolo a Villa Crespi dopo aver primeggiato nella prima edizione della Antonino Chef Academy. Altri riconoscimenti, vissuti con un understatement che gli fa onore, il premio S. Pellegrino Award for Social Responsibility nella finale l’Italia e il Sud-Est Europa 2021 e l’essere il più giovane chef con stella Michelin d’Italia 2023.

Amuse-bouche

A tavola la partita tra rigore e fantasia, tecnica e inventiva inizia dagli amuse bouche che in un sali e scendi di sapori e sensazioni, apparenza e sostanza inanellano una Perla al Parmigiano pepe e limone dal morso croccante e cuore morbido con stuzzicante scia agrumata intrecciata all’aromaticità del cerfoglio di insospettata complessità, seguita dal Fiore di loto in pasta brick custode di un prezioso cuoricino di formaggio di capra biologico della piccola azienda locale Casale Roccolo che proprio con questo caprino a latte crudo è salita più volte sul podio del World Cheese Awards, una sorta di Olimpiade del settore caseario alla quale partecipano nazioni da tutti i continenti. Nel Raviolino di sedano rapa il vegetale si esprime in tre consistenze, dalla sfoglia alla crema del ripieno sino alla buccia che bruciata e ridotta in polvere ne profila i bordi, e per finire il preferito dello chef legato a un ricordo d’infanzia, lo Spumone, qui in versione salata, nel quale la meringa cosparsa di polvere al pomodoro origano e mozzarella farcita da una crema di olive nere e verdi deflagra sul palato con piacevole effetto ritardato il suo gusto intenso di pizzaiola.

Waffle soffiato al Parmigiano

I quattro appetizer-moschettieri del gusto basterebbero da soli a rappresentare e sostenere le virtù di accoglienza della cucina che invece non si ferma e li fa seguire da altre piccole e grandi creazioni di gusto, dal Waffle soffiato al Parmigiano sormontato da un topping dalla consistenza di soffice falafel preparato con ingredienti di stagione al Bao farcito di gallina in saor nato dal desiderio di non sprecare la carne di gallina usata per il brodo e di darle seconda vita, rendendola più appetibile grazie a un nuovo brodo e al saor di aceto, uvetta e noci.

Bao farcito di gallina in saor

Così il Bao è divenuto nel tempo un finger simbolo della cucina, travolgente piatto povero che atterra generoso sulla tavola insieme a un origami creato dallo chef Marzullo come dono, per trasmettere all’ospite l’immagine di una cucina apparentemente semplice ma costruita attraverso un complesso di pensieri e gesti precisi. L’ultimo atto è scritto dal piccolo Crème caramel salato con aromi misurati di cappero e delicato olio all’erba cipollina la cui genesi è da cercare in un (felice) errore di etichettatura degli ingredienti avvenuta al momento della creazione del finger al cucchiaio che ha portato a inserire al posto del prezzemolo le impreviste dolci note dell’erba cipollina.

Chiude l’ouverture una salvietta di spugna irrorata a tavola con acqua profumata al rosmarino e limone versata da una teiera in ghisa, una delle tante attenzioni discrete ma costanti prodigate all’ospite, insieme alle pinze di legno con le quali vengono piegati i tovaglioli e il guanto in stoffa infilato per porgere i bicchieri.

Pane Olio Burro

L’esperienza a Trattoria Contemporanea è resa ulteriormente eclettica dal percorso di degustazione delle bevande da accompagnare ai piatti scelti à la carte o dai tre menù degustazione Istinto, Passione e Coraggio (mantra della brigata), in un viaggio sensoriale guidato dal sommelier Mattia Piotto e dal bartender Alessandro Scarsi che alternano, miscelano e dosano sia vini cercati con cura fra non blasonate chicche in una cantina ancora in definizione, sia cocktails, kombucha, sake come pure tisane e infusi. Ruolo di primo piano anche per il carrello delle tentazioni del pane, in una festa di croccanti grissini stirati a mano con olio e sale, infilata di tarallucci dalla formidabile friabilità insaporiti all’origano e polvere di pomodoro nell’abaco colorato e soprattutto il pane integrale preparato con lievito madre di otto anni (detto “Giorgio”), da intingere nei sentori di erba appena falciata e fieno dell’olio extravergine d’oliva Oro colato da Potenza in Basilicata oppure da spalmare con il cremoso burro biondo naturale d’Isigny di Normandia (fra i migliori al mondo) servito direttamente dalla zangola in legno in una quenelle la cui sapidità demi sel è esaltata da scaglie di sale Maldon.

Cavolo cinese alla brace, salsa kimchi e burro di arachidi

Guardare il cibo è vedere e deliziarsi, ma anche sentire e condividere il lampo della genesi di ogni piatto, da cercare non solo nell’ingrediente principale ma soprattutto nella sua relazione con quello gregario, portato sulla scena in una più sostenibile leggerezza di sapori. Vale in particolare per il Cavolo cinese alla brace, scioglievole traghettatore delle sapidità dense e pungenti di burro di arachidi e salsa kimchi, ingredienti prediletti dallo chef Marzullo che desiderando creare una salsa grassa e una piccante, individua quelle più adatte e trova quindi nel pak choi l’elemento vegetale nel quale districare lo stretto allaccio di sapori, ulteriormente mitigato dalla verde scia di olio al cipollotto. Da pochi ingredienti nasce una intensa esplosione di sapori, concentrati in un piatto totalmente vegetale e privo di lattosio, festa del gusto anche per chi soffre di intolleranze.

Seppia, ‘Nduja e beurre blanc

È un dolce indugiare la Seppia, ‘Nduja e beurre blanc di gusto asiatico e mediterraneo, marinata all’aceto di mele, tagliata a listarelle alla maniera giapponese e servita raggomitolata come tenero faraglione di una vellutata spuma al beurre blanc placida quanto lo permettono le gocce di olio alla ‘Nduja che la punteggiano di pois come un’opera dell’artista Helen Downie e nella quale fare scarpetta con un panino al nero di seppia che accompagna il piatto. L’idea di abbinare la seppia a un insaccato, per giunta piccante, nasce durante la competizione “Emergente Chef Nord” che indicava la ventricina fra gli ingredienti da usare. Dopo aver vinto la gara, il piatto è approdato nella carta del ristorante, con la ‘Nduja calabrese al posto dell’insaccato abruzzese e il panino a sostituzione della chips che sormontava il prototipo, fotografando un pezzo di storia personale e familiare del sous chef Christian Malatacca, di origini calabresi e con esperienze lavorative in Francia. Rinfresca il palato un sake servito freddo al profumo di ciliegia, da gustare due sorsi alla volta, come suggerisce Alessandro Scarsi.

Nuggets di cervello di vitello, salsa al burro nocciola e chutney di prugna

Compare sulla tavola quasi in anonimato e a bordo di una carrozza cubica il Cervello di vitello, irriconoscibile nella sua veste di nuggets dalla panatura croccante e consistenza interna morbida ottenuta dalla lunga marinatura in brine, una soluzione di acqua sale e zucchero; impanato in farina uovo e corn flakes e quindi fritto, il poco nobile taglio si trasforma in una sfera corposa e saporita da tuffare a piacere nella succulenta salsa al burro nocciola smorzata dall’acidità del vicino chutney di prugna e pepe e stemperare ulteriormente con i sorsi di una birra artigianale locale ambrata, La esagerata de I Colori del Gusto, dall’ouverture dolce e piena e retrogusto tabaccoso ben abbinata da Mattia Piotto. Un approccio brillante al quinto quarto che innamora anche gli agnostici della frattaglia, incoraggiati a godere l’insolito nuggets senza tabù, con le mani, da nettare poi con una salvietta al tè verde e nero racchiusa nella capsula presente nel box.

Raviolo aperto, gambero rosa, bernese, ananas e jalapeño

Il Raviolo aperto, gambero rosa, bernese, ananas e jalapeño appare subito come una citazione del piatto d’avanguardia ideato da Gualtiero Marchesi ormai quattro lustri or sono, quando il Maestro rivoluzionava la cucina italiana con la sua arguzia ed eleganza. Ma vi si riconoscono anche altri riferimenti: le amabili note della frutta esotica e la dolcezza dei crostacei irrorati dalla salsa possono essere letti come uno scherzoso richiamo all’ananas che compariva nel topping delle pizze “creative” negli anni Ottanta e all’altrettanto famigerato cocktail di gamberi in voga in quel periodo. Di sicuro il quadrato di pasta e la celata farcia sono una festa di morbidezza e calibrata dolcezza interrotta solo dalla flebile nota piccante del peperoncino messicano. Un piatto di comfort assoluto, amplificato da un cocktail nel quale sono miscelati Sake e vodka stemperati da pregiato tè Oolong, sciroppo di tè agli agrumi e soia. Sulla sfoglia del raviolo, al posto del marchesino timbro vegetale, sono disegnate due bande nere, rimando ottico alle bretelle delle divise che a ogni servizio disegnano in sala infinite traiettorie.

Ditalini Gerardo di Nola, birra scura, Parmigiano e aneto

Da provare l’esperienza piacevolmente spiazzante regalata dal piatto ormai più conosciuto di Trattoria Contemporanea, Ditalini Gerardo di Nola, birra scura, Parmigiano e aneto, autentica gemma del menù degustazione vegetariano Istinto. Nato dall’impulso naturale della cucina di mescolare ingredienti in apparenza distanti, nelle pieghe di questo piatto perfettamente riuscito si legge molto di più: la notevole capacità tecnica dimostrata dalla cottura nell’elemento alcolico, il riuscito accostamento al sapore pieno e rotondo della salsa nella quale la pasta tubolare è avviluppata e che fa da contraltare alle note amare del luppolo, insieme ai pizzichi croccanti di alga wakame fritta e alla sensazione finale fresca e balsamica di aneto. Uno studiato equilibrio tra boccone cremoso e amaro, elastico e vellutato, in un avvicendarsi di sensazioni gustative avvolgenti e dinamiche che trovano nella dissonanza la loro armonia.

Risotto, latte di capra Casale Roccolo, liquirizia e cappero

Il Risotto Riserva San Massimo con liquirizia, cappero e latte di capra è servito su una porcellana che è quasi un braciere, un altare a ingredienti dalla forte personalità, chiaroscuro di saporosità precise e dialettiche che illumina il pregiato riso integrale coltivato nel Parco della Valle del Ticino irrigato da acqua di sorgente e percorso da fauna selvatica. La sua genesi si lega a una visita della brigata alla piccola azienda casearia Casale Roccolo che nella vicina Bignago alleva un centinaio di capre camosciate delle alpi in modo artigianale e biologico, alimentandole a fieno ed erba medica e ricavando un latte a basso contenuto di lattosio e molto digeribile. Dopo varie prove mirate a ottenere sia la giusta consistenza della riduzione di latte da usare da solo per la mantecatura al posto del Parmigiano, sia a mitigarne l’eccessiva dolcezza e a mescolare e dosare ingredienti sapidi ma difficili da governare come il cappero e la liquirizia, dal dialogo fra i cucinieri e Alessandro Scarsi nasce l’idea di introdurre un altro ingrediente, la soia, infallibile rimedio del bartender per salvare i drink dal sapore stucchevole. La versione definitiva è un risotto spiccatamente aromatico dalla texture morbida e cremosa, somma di sapidità tostate, croccanti e umami in un riuscito affratellamento di gusti netti amplificati dalle note amarognole e bruscate del Campari shakerato aromatizzato al caffè (monorigine dell’Etiopia) e bitter al cioccolato del cocktail ideato per ribilanciare il palato.

Gnocchetti di semola con trippe di bovino e baccalà

L’amore per gli ingredienti poveri e per i gusti rotondi, morbidi e ghiotti ai quali abbandonarsi senza preclusioni è all’origine degli Gnocchetti di semola con trippe di bovino e baccalà, le prime cucinate in umido e sciolte in un ragù reso cremoso dall’aggiunta di fagioli, e quelle di pancia di baccalà pulite nell’aceto e trasfigurate in chips soffiate e fritte che solcano come vele la superficie di una composizione che stupisce per aromaticità e profumi, riuscita iperbole di complesse percezioni gustative elastiche e croccanti fra terra e mare. Gli gnocchetti, piacevolmente glutinici al morso perché preparati con un impasto di semola e acqua lasciato riposare 24 ore al caldo, sono intrisi dal sugo di trippe e ne fanno detonare il sapore, ulteriormente acceso delle uova di lompo e mitigato da ogni stucchevolezza da una rinfrescante onda finale di menta. Sensazioni prolungate dal sapido cocktail in accompagnamento, un (non bloody) Mary d’Oriente in versione analcolica ma di personalità, nel quale il succo di pomodoro è protagonista in un denso sorso vegetale insaporito invece che dal limone da una base acida di aceto di riso lasciato riposare su una purea di mele fresche per correggerne il pizzicore, e poi soia e wasabi.

Cuore di vitello, maionese allo scalogno, rafano e Diamante di capra

Quanto in cucina il quinto quarto sia amato e si desideri spogliarlo dai falsi miti, è dimostrato da un altro piatto capace di coniugare tecnica e sapore, lo spiedino di Cuore di vitello scottato sulla griglia servito con il terzo giro di lievitati, una tonda focaccia al lievito madre, olio extravergine e origano. A quella che nella famiglia delle frattaglie è fra le più delicate per sapore e tenerezza, conferiscono ulteriore spessore goloso le succose salse che la circondano irradiandone il gusto e mitigando qualunque residua riluttanza, un dripping nel quale mescolare fondo di vitello, maionese all’aroma di scalogno e maionese al rafano, insieme a coriandoli di erba cipollina e una grattugiata di formaggio di capra Diamante del Lario di Casale Roccolo che firmano la riuscita di un piatto nel quale il muscolo si intenerisce senza perdere la sua consistenza vigorosa. L’accompagnamento è un Savuto Superiore di Antiche Vigne 2015, blend di due varietà autoctone della Calabria, Magliocco Dolce e Greco Nero; vino rosso di grande struttura, profondi riflessi rubino e ampio bouquet nel quale affiorano fragranze di frutti polposi di ciliegia e prugna, note speziate di cannella, noce moscata e finale di liquirizia, seguite da buona struttura ed equilibrio sul palato, dove i sentori di frutta rossa del Magliocco e i tannini rigorosi del Greco Nero si fondono in un sorso elegante.

Latte, menta e piselli

È nuovamente divertimento l’atto finale dei dessert orchestrato dalla pastry chef Elena Orizio. Il preludio è un ciuccio infantile rimodellato con un Sorbetto al chinotto ricoperto da una sottile crosticina di cioccolato biondo e sale Maldon da suggere senza fretta, magari scattandosi le foto di rito e aspettando un dolce totalmente bianco nel quale si è invitati a riconoscere i sapori accostati con delicatezza di Latte, menta e piselli senza lasciarsi condizionare dalle forme, talvolta sfasate rispetto ai gusti per confondere e prolungare il gioco del trompe l’oeil.

L’ultimo giro di giostra golosa conduce alla piccola ruota panoramica dei Maritozzi, preparati con lievito madre e farciti al momento dalla brava ed empatica responsabile di sala Laura Scandiuzzi con panna e una base ad ardua scelta fra composta di ciliegie preparata dal ristorante o una crema di nocciola piemontese.

 

 

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