GLI SVITATI, UN ANNO DOPO

Un anno dopo la prima uscita pubblica de “Gli Svitati” ecco che ancora una volta ci ritroviamo a parlare di tappo a vite. In sinergia con Guala Closures, i cinque svitati, così come loro stessi si definiscono, Franz Haas, Graziano Prà, Silvio Jermann, Mario Pojer e Walter Massa rifanno il punto sull’utilizzo del tappo a vite come chiusura per il vino. Insieme a loro, Sergio Germano della storica antina langarola Ettore Germano. Sergio sperimenta il tappo a vite da molti anni e in questa occasione ha presentato i suoi vini, anche da uve nebbiolo, mettendo a confronto i vari metodi di tappatura. Una nuova voce, qualora ve ne fosse bisogno, a dar manforte al coro degli Svitati.

Gli Svitati

Dopo un anno, cosa è cambiato? “Dallo scorso anno ad oggi sono cambiate tante cose, la nostra rivoluzione si sta facendo sentire e siamo sempre più convinti che la scelta intrapresa sia quella giusta per i nostri vini. Il punto, la domanda fondamentale però rimane sempre quella. Il tappo a vite è migliore rispetto a quello in sughero? E rispetto altri tappi tecnologici? Se si potesse, in modo certo, definito e definitivo rispondere a questa domanda ogni questione sarebbe risolta e ogni dubbio svanito. Invece non è possibile e, probabilmente, una risposta univoca non si potrà mai darla. Sono ancora molti i dubbi (e anche i pregiudizi) che riguardano l’opportunità di usare il tappo a vite. A cominciare dalla percezione dei consumatori. Dai dati di uno studio di Nomisma presentato da Emanuele di Faustino evidenziano come il consumatore sia sempre più attento al packaging eco-sostenibile. “Tra gli aspetti positivi riconosciuti dal cliente finale al tappo a vite, l’attenzione all’ambiente risulta essere fondamentale, così come la sua facilità d’uso. Altro dato incoraggiante è la percentuale relativamente bassa, il 28%, dei consumatori che ritiene che il tappo a vite sia usato per vini di bassa qualità. Sarebbe interessante però poter capire quanto questa indicazione, generica, si ritrovi poi nelle scelte di acquisto. “Il mondo dei bianchi è più sensibile e aperto verso l’utilizzo del tappo a vite, – dicono gli Svitati – ora è il momento di concentrarci anche sui rossi. Abbiamo visto che la tappatura cambia l’invecchiamento del vino e in questo senso il tappo a vite è una scelta stilistica che va rispettate e raccontata al cliente nel modo giusto”.

Quello che appare chiaro è che il tappo a vite può, a seconda dei desideri o delle scelte di ogni singolo produttore, lasciar passare determinate quantità di ossigeno o non lasciarne passare proprio. Questo, evidentemente, influisce sul carattere del vino che alla fine si stappa. Il tappo in sughero, monopezzo, presenta una serie di problematiche che devono essere prese in considerazione. Prima fra tutte il famoso, o famigerato, odore di tappo, e poi, forse più impattante, la difformità nel livello di passaggio di aria che ogni tappo lascia passare e che varia da pezzo a pezzo con conseguenze che possono portare a difformità tra bottiglia e bottiglia. Questo difetto è quello che più sta emergendo in questi ultimi periodi perché a causa della grande richiesta del mercato, la qualità media dei tappi non è più quella che veniva garantita nel passato. E su questo gli svitati sono lapidari. Non hanno più voglia di avere il loro vino in balia dei tappi.  Vogliono che al consumatore arrivi così come loro lo hanno pensato, concepito e realizzato. Diverso è poi l’apprezzamento o meno del vino stesso. Ma quello che non vogliano più dover sentire, loro in primis, è il loro vino modificato, danneggiato, dal tappo.

In generale, quello che i tappi a vite garantiscono è un basso livello OTR (Oxygen Transmission Rate), ovvero fanno passare poco ossigeno, e quindi lasciano ai vini una vitalità spesso impensabile. E la prova della degustazione ne ha dato ampio riscontro. Abbiamo potuto assaggiare diversi campioni, di tutti e cinque i produttori, sia bianchi che rossi e confrontarli con i medesimi vini tappati con altri tipi di tappatura, sia tradizionale che tecnica. Quello che emerge chiaramente è la grande vitalità di questi vini e, potremmo dire ovviamente, l’estrema pulizia di naso. Grandi vitalità che si manifesta, a volte anche in modo forse eccessivo, nell’ottima acidità che rimane immutata nonostante lo scorrere del tempo. I campioni in degustazione avevano oltre cinque anni di bottiglia e la freschezza si mostra ancora squillante, vivace e vibrante, così come le note olfattive giocate prevalentemente sul frutto e senza alcuna deviazione verso l’evoluzione. Questi vini si sono dimostrati maggiormente in linea con i nuovi gusti del consumatore che ricerca gioventù invece che evoluzione, leggerezza (non nel senso di mancanza di corpo) invece che compressione, godibilità invece che pesantezza.

Walter Massa

Allora, come anticipato, il problema diviene la comunicazione. Come far cambiare opinione al consumatore? Qui entra in gioco, forzatamente, chi il vino lo sceglie, lo propone, lo consiglia, lo serve in tavola: i sommelier. Tre sommelier di altrettanti noti locali e con esperienze, anche internazionali, differenti tra loro erano presenti alla degustazione per dare il loro parere e le loro impressioni. Dichiarano: “Non possiamo più parlare solo di romanticismo nell’atto dell’apertura della bottiglia, la figura del sommelier non è solo questo ma deve guardare alla qualità di ciò che propone. La rivoluzione parte dalle aziende, ma passa attraverso di noi per arrivare al cliente finale: se il tappo a vite conserva in modo migliore il vino nella modalità in cui lo ha inteso il produttore, è necessario andare in questa direzione. Positivo l’atteggiamento verso la qualità del vino proposto che forse davamo per scontato ma, così sembra, non lo era. Altrettanto positivo il mettere in primo piano le intenzioni del produttore rispetto al gusto personale. Gusto che comunque influenza le scelte di ognuno e la selezione dei prodotti da inserire nella carta dei vini. Tappo a vite, sì o no? Forse il tutto è una questione di gusto (personale).