PROMONTORY, NAPA VALLEY: IL VINO, LA NEBBIA E IL SELVAGGIO
Non sappiamo bene se lo scorse da una cresta o se si imbattè in quell’immensità selvaggia una volta girato l’angolo di un sentiero. Quello di cui siamo al corrente è che H. William Harlan era lì, a sud ovest di Oakville, per un’escursione nella Napa Valley, quel giorno di inizio anni ’80. Lui sapeva già cosa significasse avere a che fare con la terra, poiché chi portava il suo stesso cognome la lavorava da tempo per produrre del vino. E quindi, perlustrava alla volta di un luogo dove piantare un’altra vigna. Anche lui quel giorno cercava una terra, la sua. Camminava e si guardava intorno, probabilmente. Ed era come rinascere.
Quella valle nascosta in cui si alternavano luci ed ombre come in un gioco di specchi, come in una magia, lo ammutolì. Il silenzio divenne al contempo colonna sonora e palcoscenico di un colpo di fulmine, di una scintilla accesa una volta per tutte, definitivamente. Forse poteva udire a malapena l’ovattato rimbombo dei passi assorbito dal terreno. Forse, ora che il brusio era cessato, poteva sentire perfino il suo respiro. Lì, in quella terra che si corazzava di foresta e che si apriva come un abbraccio nei pascoli poco più in alto, la natura gli concedeva di ascoltare sé stesso e la melodia suonata dai boschi, dai venti, dagli animali che, guardinghi, lo osservavano da lontano.
Qualche anno ancora passò e nel corso di questo tempo H. William Harlan non potè mai togliersi dalla testa quel luogo e i suoi profumi. E ne acquistò la proprietà, nel 2008. L’esplorazione millimetrica delle sue alture e delle sue profondità fu l’avventura più bella. Un’avventura da non considerarsi mai conclusa, persino oggi. Venne scoperta, all’interno della tenuta, una particolarissima convergenza geologica e di microclima atta a dipingere un perfetto substrato viticolo. Nacque così Promontory.
L’impianto viticolo fu destinato a una superficie minuscola – inferiore al 10% dell’estensione totale della proprietà di ben 340 ettari – frazionata in piccole porzioni di terra sparpagliate qua e là in mezzo alla foresta, come fossero delle macchie di colore lanciate su una tela. L’uomo qui fronteggia la sua illusione di avere il controllo, in un regno che è patria del bosco, proprietà della natura e sovranità degli animali selvatici.
Attraverso il vino, la famiglia Harlan scoprì l’identità di questo territorio. Era un territorio incline alla malleabilità, qualora gli si portasse rispetto, ma in nessun modo vocato all’accondiscendenza. Quel sapore silvestre accompagnava ogni singola diapositiva di Promontory, senza possibilità di scissione. Persino l’aria e le nuvole amano mescolarsi a quelle foglie intrise di anima, vestendole di rugiada. Al mattino, una rada nebbiolina si attorciglia agli alberi e segue il profilo della terra, diffondendosi con la grazia di una ballerina. Con la stessa delicatezza, durante il giorno si dissolve sotto gli sguardi penetranti del sole, per poi riapparire in serata.

H. William Harlan e David Cilli
La miscela di rocce definisce un profilo pedologico degno del miglior Arlecchino, per varietà e cromatismo. La ricchezza di queste parti è qualcosa di sovrabbondante, eppure davvero ben celato. I tronchi, le vallate, i pendii impervi a salire e ripidi a discendere, sono i guardiani di un piccolo universo nascosto nei meandri della Napa Valley, qui dove H. William Harlan coltiva le sue uve di Cabernet Sauvignon – ed altre varietà internazionali – e le trasforma in un vino che, in pochissimo tempo, ha scalato le vette del prestigio enologico. Oggi, il nome Promontory risuona ai piani alti, quelli che ammettono l’acquisto di una bottiglia capace di sfidare il mercato con i suoi 300 euro e oltre di prezzo a listino. E di vincere, affermandosi come una delle grandi firme californiane nella vitivinicoltura mondiale.
Un’azienda tutto sommato giovane Promontory – ricordiamo che l’acquisizione avvenne nel 2008, con il primo vero e proprio millesimo vendemmiato nell’anno seguente, il 2009 – eppure dalla lunga tradizione viticola familiare alle spalle e dal futuro ben segnato sulla strada dei grandi. Un nome che promette. E di cui, certamente, avremo modo di sentire parecchio parlare.
DEGUSTAZIONE
PROMONTORY 2012
Promontory è la sublimazione del Cabernet Sauvignon, frutto di un blend delle diverse parcelle di vigneto provenienti da una o dall’altra zona della tenuta. Nel 2012 la vendemmia venne portata a termine a fronte di 46 passaggi in vigneto: un numero che si può quasi considerare nella normalità, per questi appezzamenti solitari. Il naso è certamente il più impattante e, per certi aspetti, il più suadente della verticale. Usa le armi delle spezie e la persuasione balsamica della propoli. Poi apre il suo ventaglio di cumino, miele ed erbe balsamiche, con una nota di carruba. La bocca si fregia di una texture setosa e al contempo spessa. I tannini sono omogenei, seppur impregnati ancora di una certa ruvidità. Si fa ricordare in un’eco di liquirizia.
PROMONTORY 2013
Basse rese, maturazione perfetta. Fu la nebbia a proteggere l’isola felice di Promontory, mantenendo un microclima fresco a fronte di quella che per tutti gli altri, in zona, è ricordata come un’annata siccitosa e precoce. Spicca il frutto, oggi, entro un naso che si protrae nella sfumatura della traccia erbacea. La bocca è strutturata, materica, fine nella sua incisiva trama tannica e pungente nella freschezza. Il ricordo di liquirizia pervade anche il sorso di questo millesimo, seppur in un’accezione più morbida, quasi di caramella.
PROMONTORY 2014
Annata particolare davvero, la 2014. Annata di grandi eventi, di fratture e di rinascite. Ci fu un terremoto, il 24 agosto. Smosse la terra, destandola da un intorpidimento. I ruscelli in secca da tempo ripresero a scorrere e le viti si rinvigorirono di una vivacità che le scortò nel loro viaggio verso l’autunno. I passaggi in vigneto, durante la vendemmia, furono ben 52 e portarono a 33 fermentazioni separate. Il profilo del naso è pungente, nelle tracce del frutto, del fiore e di una punta balsamica. Il sorso è ancora tannico, estremamente fresco. La struttura è solida, il corpo è pieno. La morbidezza del legno arrotonda il sorso, che sicuramente avrà bisogno di qualche ulteriore anno per evolvere ancora.
PROMONTORY 2015
Ci fu un inverno caldo, quell’anno, e un periodo primaverile piuttosto freddo. Poi, tornò nuovamente il caldo, con temperature che superarono i 37 gradi sul finire dell’estate. Per 54 volte si entrò in campo a raccogliere l’uva. Il naso è pieno, spesso quanto la bocca. Stratificato nei suoi mille profumi, che viaggiano dalla mora alla confettura di frutti rossi, dalla trama erbacea a quella balsamica, dalla grafite alle spezie orientali. La bocca è rotonda, levigata nel tannino e succosa, pregna dell’anima del frutto.
PROMONTORY 2016
La cadenza ritmata dell’alternarsi di nebbia e sole ha scandito una maturazione lenta e perfetta, che colloca la 2016 fra le annate più tardive, per la zona. Addirittura 64 furono i passaggi in vigna, per portare a termine una vendemmia che oggi ci regala un vino eccezionale. La complessità del naso mostra la sua superiorità e la sua classe nella sua inscindibilità: difficile sezionarla in note, in sentori. Affascina così com’è, con quel profilo fine e pungente, con quell’aura pacata. La bocca è armonica e suadente quanto il naso. Vive l’eleganza, entro questo sorso snellito da un tannino sottile e appuntito, da una freschezza tesa e da quell’immancabile sapidità che lo fa danzare.