SAVOY, IL TÈ DELLE CINQUE IN COMPAGNIA DI LOUIS ROEDERER

A Londra esiste un’ora magica, quella dell’Afternoon Champagne & High Tea nei più celebri Foyer. Una complessa e rigorosa liturgia, che la civiltà perfezionata sotto il Big Ben ha provveduto, nel corso dei secoli, ad affinare fino a farla diventare una forma d’arte, aperta all’estro creativo e dunque capace di svariate rappresentazioni. Qui il pomeridiano, in abbinamento allo Champagne, è molto più che una semplice pausa durante la giornata. È diventato qualcosa di elaborato, sofisticato, sempre meno spartano e via via più raffinato. Non proprio una sosta, ma un vero e proprio evento, articolato in un cerimoniale nato qualche secolo fa, in seno all’aristocrazia britannica e ormai accessibile ai più.

In particolare, al Savoy, l’Afternoon Tea è un’usanza senza tempo, un pilastro dell’Hôtel sin dalla sua apertura, nel 1889. Fondato dall’impresario teatrale Richard D’Oyly Carte, è stato in assoluto il primo Hôtel di lusso del Regno Unito. Richard D’Oyly Carte ebbe la grande intuizione – o più semplicemente la fortuna – di assumere personaggi capaci ed estremamente preparati, stabilendo uno standard qualitativo senza precedenti nel servizio alberghiero e nella ristorazione di lusso. Tra questi César Ritz, imprenditore svizzero, che assumerà la direzione del Savoy per diversi anni, per poi fondare molti altri alberghi, tra cui il Ritz di Londra e di Parigi. Passerà alla storia come “King of hoteliers and hotelier to Kings” (Re degli albergatori e albergatore dei Re). E come non ricordare anche un altro celeberrimo pilastro della brigata del Savoy, quel Auguste Escoffier, paradigma e promotore della cuisine française in terra straniera. All’inizio degli Anni Venti entrerà poi a far parte del personale un immigrato italiano, tal Guccio Gucci, che – ispirato dal viavai continuo di bagagli e valigie dei vari ospiti soggiornanti – ritornerà a Firenze dove ben presto raggiungerà la fama mondiale, grazie alla plurimilionaria Maison di Haute couture, da lui fondata.

Tanta storia sortisce una certa attrattiva. Desiderosi di vivere l’esperienza, abbiamo prenotato con circa tre mesi di anticipo un tavolo per due. La conferma della prenotazione è arrivata dopo pochi giorni su carta intestata con chiusura ceralacca, per posta aerea e con il sigillo della British Royal Mail. È evidente che la classe, al Savoy, è una filosofia che permea ogni cosa. La Miss che ci riceve indossa un sorriso sincero e contagioso, subito accomodante. Per quanto impeccabile, suscita tutto fuorché distacco. In effetti l’arte di bere il tè – e ancor più lo Champagne – è un poema ritmato da movimenti armoniosi. Qui dove filtra una particolare qualità della luce, si ha quasi la sensazione d’aver attraversato un varco, ritrovandosi all’improvviso in una dimensione senza tempo. Dipinti, composizioni floreali, alzatine, tovaglie finemente ricamate, servizi d’argento dal fascino d’antan, piatti, posate, teiere fumanti e porcellane Wedgwood decorate rigorosamente a mano, sono disposti in simmetria perfetta. Un’armonia geometrica che sconcerta, al cui centro possono vagare liberi il pensiero ed il gusto.

Nel Thames Foyer, considerato il cuore dell’ Hôtel, una splendida cupola vetrata inonda il salone di luce naturale e un piacevole tepore pervade ogni cosa. Il centro della sala è dominato da uno straordinario gazebo in stile giardino d’inverno, in cui campeggia uno splendido pianoforte a coda, suonato da una pianista in abito da sera. In passato, su quello stesso palco, si sono esibiti personalità come Frank Sinatra e Enrico Caruso.

Una volta scortati al tavolo, impossibile non aprire le danze con un calice di Champagne. La scelta cade d’obbligo su Louis Roederer Brut Premier. Una Maison a cui il Savoy ha storicamente legato il proprio nome, per via del noto nesso tra questa tipologia di Champagne e l’alta classe aristocratica. Come dire, noblesse oblige. Il Brut Premier è un grande classico della Maison, l’ennesima conferma del fatto che a Reims, al civico 21 di Boulevard Lundy, si lavora ogni giorno per raggiungere la perfection, senza mai accomodarsi. Non sempre lo stesso champagne, ma uno champagne sempre di altissimo livello nel quale si tende a garantire non tanto una costanza del gusto, quanto una costanza della qualità, quindi con sfumature diverse da un tiraggio all’altro. Questo sottile compromesso tra continuità ed innovazione, non poteva che essere in accordo con il gusto inglese.

Austera, discreta, sempre ironica, Londra rappresenta e ha rappresentato la vera vetrina del vino nel mondo. Solo una terra in cui non si è prodotto vino – così è stato, fino a pochissimo tempo fa – poteva ospitare il più appassionato, bizzarro, assetato e curioso popolo di consumatori di alcolici. Storicamente Londra i vini non li fa, li giudica. Come una sorta di Corte Suprema, che ha saputo ben dimostrare allo snobismo tipico dei produttori continentali, una sicura e graffiante capacità di discernimento. Fu esattamente a questo compito che furono chiamati i primi esercenti inglesi, in cerca d’affari su è giù per i docks della città: codificare, valutare, indirizzare ciascuno dei mille barili che la sete dell’Impero britannico chiamava ogni giorno a sé. Ed è così che continuano a fare ancora oggi i figli dei loro pronipoti, sebbene alcuni di loro abbiano, in tempi recenti, dismesso il court dress per vestire i panni del vigneron.

Nel frattempo, una rapida occhiata à la Carte dei tè e subito si prospetta un’ampia scelta, che mette a dura prova l’indeciso. Niente paura, la vostra cup verrà riempita quante volte vorrete e c’è sempre la possibilità di testare diverse varietà, nell’arco della stessa serata. Vastissima è la gamma di tè proposti. Si va dal classico Jing, tè verde tostato e originario della Cina Orientale, per passare a diverse tipologie di rielaborati (con aggiunta di essenze, fiori o frutta essiccata). Tra questi il Jasmin Silver Needle ottenuto con un processo di aromatizzazione della foglia, tramite il contatto con fiori di gelsomino o l’Earl Grey, a foglia nera, aromatizzato con olio estratto dalla scorza di bergamotto. Da provare il Darjeeling indiano, originario del Bengala Occidentale, tradizionalmente considerato il più pregiato dei tè neri, noto anche come lo “Champagne dei tè”. Volendo onorare il galateo, può essere utile ricordarsi che la bevanda va mescolata muovendo verticalmente il cucchiaino (non girando), possibilmente senza mai toccare le pareti della tazzina. Assolutamente inopportuno chiedere una fettina di limone. Di fronte a una tale nefandézza gli inglesi reagiscono con lo stesso sdegno di un italiano dinnanzi alla pizza con ananas. Il latte, un quid pluris che dipende dalla tipologia di tè scelto. Versarlo prima o dopo è una vexata quaestio mai risolta, fate pure come preferite.

Il tutto è servito con una succulenta selezione di torte e pasticcini stagionali creati ogni giorno dall’Executive Pastry Chef, ognuno dei quali è una vera e propria opera d’arte. Da non perdere i leggendari Scones appena sfornati, da farcire con Clotted Cream (imperfetta qualsiasi traduzione in italiano, una densa panna rappresa, originaria del Devon e della Cornovaglia), Lemon Curd (crema al limone) e Strawberry Jam (confettura di fragole). Trattandosi di una merenda inglese, ampiamente capace di sostituire un pranzo o una cena, non può mancare la proposta salata, articolata in tramezzini, finger sandwiches e focaccine fatte in casa. Un ricco e sontuoso break culinario, che sa essere un piacere per gli occhi e una delizia per il palato. Solo una cosa potrebbe suonare totalmente superflua, ordinare un caffè.

 

 

 

 

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