LUIGI TAGLIENTI, VIAGGIO IN ITALIA

L’ho inseguito come un segugio per anni, da quando, oramai qualche tempo fa, assaporai per la prima volta un suo piatto. Luigi Taglienti cambiò, in quel momento, la mia percezione dell’alta cucina, un concetto spesso inafferrabile benché non fossi allora, e men che meno adesso, uno sprovveduto in fatto di grandi ristoranti o grandi Chef. Ovunque andasse, io ero lì, alla sua tavola. E non mi chiedevo il perché, la mia è sempre stata una “dipendenza” forse irrazionale, che travalica la semplice esperienza culinaria.

La cucina di Luigi Taglienti è lucente e affilata come una lama di Hattori Hanzo, un laser che ti colpisce prima il cervello e ti costringe ad abbandonarti e ad intraprendere un viaggio immediato e fulmineo in una terra in cui cerchi di capire da dove è partito Luigi, da quale idea, da quale presupposto.

 

Dipinge Luigi, passando dal cubismo all’impressionismo, dalla pop art arrivando alle arti visuali, al futurismo, all’arte concettuale. La sua cucina è pura espressione artistica di una sensibilità unica, difficile da descrivere. Apprezzi la perfezione stilistica, la tecnica sopraffina, la costruzione di un intreccio gustativo ideale, eppure ti accorgi che c’è di più, un aspetto immateriale che rende il tutto incomparabilmente originale.

Una volta Luigi mi chiese di spiegargli perché ero così entusiasta dei suoi piatti, una richiesta di comprensione forse rivolta ad entrambi. Risposi nell’unico modo che conosco se devo dare il massimo delle mie capacità, ovvero scrivendo. Gli inviai una pagina fitta di riflessioni, tra cui ricordo questo passaggio:

la cultura di Luigi Taglienti è il primo mattone con il quale ha costruito pazientemente la sua straordinaria capacità di leggere l’anima più profonda delle materie prime, di comprendere il vero spirito del mondo culinario in cui vive, di tessere nei suoi piatti trame narrative persuadenti grazie all’utilizzo di un linguaggio universale. Senza questa conoscenza assoluta non sarebbe possibile mettere a punto il suo schema gustativo unico e difficilmente imitabile. Un limone di Sorrento, nelle mani di Luigi Taglienti, si trasforma in un’integrale identificazione della materia prima stessa: uno spicchio al centro del piatto, la sublimazione dell’acidità e della dolcezza del frutto, una sensazione accecante e istantanea, eppure così naturale ed equilibrata. Questo piccolo/grande esempio, ricordo personale di un percorso durato due anni e puntellato di centinaia di assaggi, è l’archetipo dell’arte culinaria di Luigi Taglienti. Abilità tecnica e padronanza della materia prima non sono però sufficienti a spiegare il perché, oggi, egli rappresenti molto di più di quell’immagine da grande chef, effige lucente solo per coloro che, forse, non lo conoscono fino in fondo. Luigi va oltre e travalica gli stereotipi con i quali, usualmente, è identificato da ristretti e inadeguati schemi critici. Il suo idioma, difficilmente riscontrabile negli ambiti dell’alta cucina italiana, è quello di un cuoco capace di parlare, abilmente e profondamente, con chiunque”.

Rileggendo queste parole, probabilmente avevo intuito molto di più di quanto, allora, fossi consapevole. Un pensiero o un presagio, per arrivare all’oggi, al Lume di Luigi Talglienti.

 

 

 

 

C’è l’Italia oggi al centro di tutto, l’Italia come massima missione gastronomica, l’Italia come desiderio di trasmissione eccellente della capacità e sensibilità di leggere l’essenza del territorio. Luigi Taglienti, dal giugno del 2016 al Lume in via Watt 37 a Milano, ha scelto una “inversione di marcia” consapevole rispetto al suo passato, mettendo al centro della sua ricerca l’Italia, che oggi considera quanto più d’innovativo ci sia da offrire nel panorama gastronomico internazionale.

                                                                                                    Cappuccino di Funghi

Un menù degustazione dal titolo “Taglienti racconta Taglienti” narra la storia e l’evoluzione di un grande chef, l’attaccamento alla sua terra, la Liguria, e all’Italia intera, senza collocazioni spazio temporali, senza confini, solo ed esclusivamente attraverso ispirazioni e intuizioni, a stretto contatto con il territorio, scegliendo il meglio che le materie prime offrono, che rappresentino il massimo dello standard qualitativo ed etico.

Un’operazione che non si palesa come una riproposizione del territorio, ma allarga con decisione lo sguardo per consentire di riappropriarci di quello che già ci apparteneva, il nostro patrimonio condiviso, lasciando finalmente entrare i sapori che sono propri del nostro palato e della memoria attraverso il corretto processo di evoluzione.

 

Torta di carciofi

 

Luigi Taglienti ridisegna i connotati del “noto” in maniera austera ma essenziale, semplice e mai banale: sapori sconosciuti e al tempo stesso rievocativi del passato, che si esaltano a vicenda.

Suo assoluto feticcio è il limone, l’apporto dell’acidità nei suoi piatti, diventato il suo marchio a fuoco, riuscendo nell’intento di ricreare sfumature olfattive ed emotive contestualizzando la tradizione alla contemporaneità, regalando all’esperienza un’alternanza di sensazioni tattili e gustative che conferiscono brio, velocità, forza e freschezza ai suoi piatti.

Nel nuovo menù troviamo inaspettatamente grandi classici della tradizione italiana come il Saltimbocca alla romana, la Lasagna tradizionale alla Bolognese, la Quintessenza del Tocco alla genovese, la Torta di carciofi, un grande ritorno con la Frittura di pesce morone al salmoriglio, il Fegato grasso d’oca di Mortara in sfoglia di verza al vapore, affiancati da alcuni piatti signature dello chef, quali il Bianco e nero di seppia, Acqua olio limone e liquirizia, per concludere con il Cappuccino di funghi con budino di fegati chiari, ad incontrare l’atteso ritorno dei funghi nell’alta gastronomia attraverso il concepimento del dolce salato.

Bianco e nero di seppia

 

Una nuova sfida per un grande chef, capace di guardare al domani attraverso una continua a graduale trasformazione, che equivale oggi alla vera crescita evolutiva della sua cucina.

Per me questo è un menù coraggioso, di fortissima rottura, che in nulla intende rinnegare le mie creazioni più ‘ardite’ passate/presenti/future che i miei clienti più affezionati troveranno sempre e che continuerò a creare, ma che vuole evidenziare quanto, negli ultimi anni, abbiamo banalizzato la nostra tradizione gastronomica, dandola per scontata, tralasciandone il suo immenso valore gastronomico, culturale e sociale, nonché il nostro dovere etico di innovarla. Ci siamo forse distratti, guardando troppo gli altri, altrove, laddove c’era la nostra Lasagna tradizionale alla Bolognese che aspettava solo di essere fatta bene, a regola d’arte, ritrovando la corretta importanza culturale e il giusto e dovuto inserimento nelle carte dei grandi ristoranti italiani”. Queste le parole di Luigi Taglienti.

Le mie, a conclusione di quel vecchio scritto oramai non più privato, sono ancora valide:

La cucina di Taglienti è purezza ed energia, materia e ascesi, colta immagine letteraria e fotografia d’autore di un mondo policromo e bramoso proprio di emozioni. Viaggia Luigi in questo universo. E non ti fermare mai”.

 

www.lumemilano.com