IL QUINTO QUARTO DI CASA RIZZIERI

Da secoli, in Emilia, la stagionatura dei salumi è disciplinata dalla nebbia. Un ingrediente ineludibile per i norcini che operano lungo il corso del fiume Po e accomuna chi abita la regione di Giuseppe Verdi e Luciano Pavarotti. Quella nebbia densa, che si taglia con il coltello, per dirla alla Guareschi, che avvolge anche Ferrara, mentre raggiungi Casa Rizzieri, il ristorante sorto accanto alla storica macelleria, paradiso di carni sopraffine da filiera ed eccelsi salumi. Tuttavia, raggiunta l’insegna, la nebbia si dirada e l’accoglienza è quanto di più caloroso e accogliente ci si possa attendere, grazie alle premure di Lorenzo e Michela Rizzieri. Siamo nella frazione di Focomorto, nella periferia di Ferrara, in una vecchia casa colonica oggi abilmente ristrutturata, dove nel Dopoguerra risiedevano undici famiglie, quasi tutte occupate nelle campagne e nei frutteti circostanti.

Photo credits Roberto Carnevali

“Quando nel 1980 mio papà Maurizio decise di trasferirsi qua con la bottega, da piazzale San Giovanni sotto alle mura di Ferrara, dove insieme allo zio Claudio avevano aperto nel 1969, era ancora un piccolo borgo con pochissime case e tanta campagna” ci racconta Lorenzo Rizzieri, “la salumeria italiana viveva in quegli anni un’inesorabile industrializzazione, a cui mio padre volle sottrarsi, creando un laboratorio dove continuare a produrre senza conservanti, nitrati, salnitro. Trovò questa casa dove al primo piano potevamo abitare e al pian terreno poteva istallare il laboratorio, inizialmente senza pensare di aprire il negozio, poi prese la casa alle spalle dell’edificio, dove vive oggi e scavando due metri abbiamo potuto ricavare gli ambienti per la stagionatura”.

Michela e Lorenzo Rizzieri

Una filosofia, quella dei Rizzieri, che è un vero e proprio patto con la terra e con il consumatore e da tempi non sospetti è finalizzata all’idea di filiera, passando inequivocabilmente dagli allevatori e dagli agricoltori più virtuosi, che sono coinvolti in modo proficuo. “Nel 2013, abbiamo ristrutturato la macelleria, abbiamo ampliato il banco che era piccolissimo e rifatto tutti gli ambienti, anche le cantine. I nostri clienti avevano capito ciò che stavamo facendo, avevano compreso che ci stavamo battendo per il concetto di filiera e il controllo accurato sull’alimentazione e sul benessere degli animali”.

E le scelte virtuose si moltiplicano. “Nelle nostre campagne produciamo il nutrimento per gli animali che poi alleviamo, abbiamo in corso progetti con le università, dal 2011 abbiamo inserito i semi di lino nella alimentazione dei bovini, per aumentare la presenza degli omega3 e prevediamo di inserire anche i gusci di nocciole. A ottobre abbiamo piantato cinquanta ettari di biodinamico con leguminose e cereali antichi che diventeranno la nuova alimentazione dei nostri animali che si possono definire grass fed, la loro alimentazione è per oltre l’80% a base di erba, fieno, semi di lino, senza uso di antibiotici, ormoni e OGM. Gli allevamenti non sono nostri di proprietà ma appartengono a partner di fiducia a cui affidiamo gli animali stipulando con essi un rigido disciplinare in 16 punti, dal rispetto dell’animale, al benessere, all’alimentazione e ogni anno a loro insaputa prendiamo un campione di ogni carne, che sottoponiamo ad esami scrupolosi (compreso quello all’antibiotico resistenza), vagliati da nutrizionisti di un ente terzo, che poi pubblichiamo sul sito, se i valori evidenziano anomalie, l’allevatore viene immediatamente escluso e se invece le certificazioni danno gli esiti positivi che ci aspettiamo, c’è una ricompensa per l’allevatore che viene quindi stimolato a produrre in modo virtuoso. In questo modo tuteliamo il consumatore, noi e l’animale”.

Photo credits Roberto Carnevali

La sala di Casa Rizzieri è stata pensata da Michela, con materiali naturali, arredata con i manufatti di artigiani del territorio, i tavoli in legno e ferro, i pavimenti oxidart della locale ceramica Sant’Agostino, che richiama al colore dell’argilla e al ferro della precedente destinazione d’uso di questi ambienti. Un locale con cucina vetrata open space, sette tavoli, luci calibrate, un’illuminazione intima che induce a rilassarsi, a conversare, a condividere, che accoglie massimo 25 persone, mentre lo spazio è stato insonorizzato, con tende, quadri, pannelli e tavoli modificati appositamente perché siano fonoassorbenti. Lorenzo per un periodo si era allontanato dalla macelleria di famiglia per fare esperienza, lavorando in alcuni grandi brand, ma poi ha cominciato a pensare a un ristorante con una precisa filosofia, assecondando la passione per la cucina con le braci e con il fuoco, che lo aveva sempre attratto sin da bambino. Così ha frequentato corsi di ogni genere, specializzandosi nella cottura alla brace, per creare le basi professionali per essere pronto tecnicamente a lavorare qualsiasi tipo di carne o ingrediente, tenendo conto di tutti gli aspetti nutrizionali. E dopo un accurato restauro degli spazi durato un anno, nel giugno 2020, in piena pandemia, Lorenzo e Michela hanno aperto Casa Rizzieri, accanto alla storica bottega di famiglia. La filosofia è chiara, solo carni di elevatissima qualità, cottura a bassa temperatura in modo da stabilizzare i tagli ed esaltarne il sapore, per poi terminare con un passaggio sulla brace che gli darà l’affumicato, evitando che rimanga sulla griglia oltre il necessario. Il fumo è un ingrediente e va dosato, non serve abusarne e occorre fare attenzione ad alcuni accorgimenti importanti: “prima di scegliere quale carbone impiegare ne abbiamo selezionati 22 tipi diversi, cercando quello più adatto ed etico da utilizzare nella nostra cucina, alla fine abbiamo deciso per un carbone sostenibile e completamente vegetale, ottenuto da alberi che dopo l’abbattimento vengono rimpiazzati piantumandone altri”.

La carta dei piatti di Casa Rizzieri è ampia e indirizzata verso l’impiego di carni selezionate di filiera: “bovini di razza piemontese e Garronese di nostra proprietà, che vengono allevati da professionisti affidabili e certificati, lasciando vacca e vitellino insieme fino allo svezzamento, quando vengono spostate in spazi aperti al pascolo sui Colli Euganei, dove gli animali potranno scegliere autonomamente quando rientrare in stalla”. Un’idea di azienda che segue il concetto delle 5T, razze italiane, nate, allevate, macellate in Italia, con l’allevatore che produce più del 90% di ciò che mangiano in azienda agricola, senza scorciatoie. I suini vengono invece dalle colline modenesi e sono ibridati tra una razza autoctona e un maiale rosa modenese, gli animali stanno fuori tutto il giorno e se c’è molto freddo rientrano in stalla.

Quella di Casa Rizzieri è una proposta focalizzata sulle carni, ma che dedica una particolare attenzione alla riscoperta del quinto quarto, tagli di carne che non si usano più, considerati meno nobili, di cui Lorenzo fa un ampio uso, ripercorrendo con tecniche moderne ricette e sapori dimenticati. Il Quinto quarto è il modo antico con cui si chiamavano le interiora che non costavano nulla e venivano date ai poveri, in tempi nei quali la tavola delle persone abbienti prevedeva esclusivamente l’utilizzo dei quattro quarti dell’animale, due spalle e due cosce, buttando o regalando animelle, cuore, fegato, milza, polmone, cervella, coda, nervetti, rognoni, trippa, lingua, diaframma. Concetto che Lorenzo Rizzieri ha voluto rivoluzionare, attraverso una cucina che esalta le interiora, nella quale si fondono abilmente tecniche di macelleria e cucina: “è una proposta che contiene elementi che non può sapere un cuoco, se non è un macellaio”. Vi sono frattaglie che sono straordinarie dal punto di vista nutrizionale e offrono allo chef infinite opportunità, come il fegato, che è un alimento completo e denso di proteine nobili. Radici solide e sperimentazione, dunque, sostenuta da una ricerca importante sul fronte degli ingredienti, con quell’attenzione alla terra e agli animali che si ritrova in tutti gli elementi della proposta Rizzieri e sfocia in una speciale selezione, un piccolo catalogo di specialità con giardiniere, confetture, olio, pasta di Gragnano. Ma non solo, Lorenzo ha costituito l’Accademia Rizzieri, nella quale poter condividere le sue competenze e confrontarsi con i colleghi e gli appassionati, ospitando eventi, corsi sulle tecniche di cottura, sui tagli, sulla frollatura, sui salumi, sul BBQ per principianti e professionisti, creando occasioni di formazione e scambio.

Dall’ampio e stuzzicante menù abbiamo scelto tre piatti che caratterizzano il percorso Rizzieri, come l’animella, le cervella e il cuore, svelandone la preparazione. Accanto tre etichette che ci stanno particolarmente a cuore e abbiamo trovato adatte ad esaltare i sapori dei piatti. Bon appétit!

 

 

Animella di Scottona fumé con cipolla dorata al Josper

Photo credits Roberto Carnevali

L’animella è una ghiandola dalla consistenza magra e dal sapore intenso, che si può trovare in due punti dell’animale: in prossimità del cuore, dove è leggermente più morbida e vicina alla gola dove è più asciutta. Rizzieri predilige quella di cuore. I vitelli di razza piemontese da cui si ricava l’animella, sono carni dalla bassa colesterolemia, tra marzo e ottobre pascolano, per poi trascorrere in stalla i periodi più freddi dell’anno e tra marzo e giugno nutriti con piselli e fave. L’animella si prepara sbollentandola con un tè aromatico di erbe, coriandolo, rosmarino, poi viene abbattuta e infine leggermente brasata, restituendole quell’inconfondibile tocco di fumo. A parte viene cotta alla brace la cipolla giarratana, ripassata due volte, elemento sempre distintivo nella cucina di Lorenzo Rizzieri e con la buccia si ottiene una polvere che si mette nel piatto prima di servire, aggiungendo un filo di olio extra vergine di Bardolino e scaglie di sale di Comacchio raccolto a mano e asciugato al sole nella storica salina attiva già nel 715 d.C. Una rilettura che rispetto all’animella come veniva preparata nelle famiglie contadine, restituisce delicatezza, concentrazione, morbidezza all’interno e una leggera e piacevole croccantezza all’esterno, a contrastare e a smussare quel sapore deciso che non di rado ha questo taglio di interiora.

 

abbinamento

Moratti Cuvée dell’Angelo 2012 Castello di Cicognola

Una virtuosa realtà vitivinicola dell’Oltrepò Pavese improntata sulle bollicine, guidata da Gabriele Moratti, terza generazione e figlio di Gian Marco e Letizia. Dedicarsi ai blanc de noir è decisamente una scelta di campo che guarda al territorio, in una posizione geografica particolarmente favorevole, dove negli scorsi decenni le produzioni erano indirizzate ai grandi numeri, una tendenza che però sembra finalmente essersi invertita. 36 ettari di cui 28 vitati, con vigne a spalliera e Guyot intorno ai 25 anni, che circondano il maniero del 1200 e si estendono su colline tra i 300 e i 350 metri di altezza, con diverse esposizioni e pendenze. Un regime semi-biologico che guarda con attenzione all’ambiente e suoli marno-argillosi, con poco scheletro, danno vita a differenti espressioni del Pinot Nero e alla Cuvée dell’Angelo. Un Pas Dosé Metodo Classico 100% Pinot Nero, realizzato in onore di Angelo Moratti, che si origina nei vigneti a nord-ovest di Cigognola per giovarsi dei raggi del sole serali, sostando sui lieviti per 72 mesi. Una bollicina ideale per questo piatto, bel perlage e bel naso fresco, frutti rossi maturi, piccola pasticceria, note tostate e minerali. Al palato, fresco, armonico, in un mix riuscito di mineralità e sapidità, fruttato, una bella spalla acida, molto croccante, con un’inattesa profondità e una lunga persistenza, chiude molto floreale. Uno dei più interessanti outsider di quest’area.

castellodicigognola.com

 

 

 

Cervella fritte con maionese all’aglio nero di Voghiera

Photo credits Roberto Carnevali

Da sempre considerato un cibo di scarto, come tutto ciò che viene dalla testa dell’animale, al tempo dei Greci antichi era accompagnato da leggende e credenze popolari, le quali riferivano che mangiandone ne avrebbe giovato l’intelligenza, ma divorare il cervello dei nemici e dei prigionieri uccisi era anche una  barbara consuetudine degli Ostrogoti, che invasero la penisola nel VI secolo, non a caso il cervello è uno dei piatti prediletti da Hannibal Lecter, il serial killer dei libri di Thomas Harris. Una prelibatezza difficile da trovare nella ristorazione odierna, che da Rizzieri viene preparata con tutti i crismi. Una volta che le cervella di vitello sono lavate e pulite, vengono sbollentate con un infuso di erbe officinali, ideali nel conferire freschezza alla preparazione, a cui aggiungere alloro, rosmarino e qualche granello di pepe. Poi si procede alla panatura nell’uovo e nella farina tostata di mais, per dare maggior croccantezza alla parte esterna, mentre per la frittura si propende per olio di arachide che ha un elevato punto di fumo. Accanto Lorenzo propone una maionese reinterpretata all’emiliana per intingervi le cervella, con aglio nero fermentato e aceto balsamico invecchiato 8 anni.

 

abbinamento

Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva Barasta 2015 Casaleta

Un’interessante realtà imprenditoriale a carattere familiare sorta nell’area dei Castelli di Jesi, che da tre generazioni si dedica all’agricoltura e dagli inizi degli anni Novanta alla produzione vitivinicola autoctona, puntando sul vino marchigiano per eccellenza. Terreni vocati, che si estendono esposti a Nord-Est tra le colline di Castiglioni di Arcevia, su suoli sabbiosi e argillosi, che godono di un benefico microclima e si giovano della favorevole brezza marina del mare Adriatico che dista solo 35 km, mentre lavorazioni manuali messe in atto in vigna, indicate dalla competenza dell’Enologo Giancarlo Soverchia, a partire dalla potatura, alla raccolta delle uve in piccole cassette, portata a termine in più passaggi a seconda di quanto sono mature le uve, caratterizzano una proposta altamente artigianale. Vecchi biotipi di proprietà, basse rese per ettaro, pressatura morbida, decantazione statica a freddo e affinamento in barrique, connotano le peculiarità espressive della riserva Barasta. Al naso ampio, floreale, speziato, con note di biancospino, zafferano, vaniglia, mimosa, albicocca disidratata, miele d’acacia. Al palato l’assaggio prosegue rotondo, fresco, sapido, grasso, una struttura importante con tanta mineralità e acidità, quello di cui c’è bisogno per apprezzare questo piatto. Mela leggermente cotta, pera poco matura, parte citrica più presente in bocca che al naso, note di zafferano, mandorla tostata, agrumi, su un finale lungo e persistente.

casaleta.it

 

 

 

Carpaccio di Cuore e salsa di melograno

Photo credits Roberto Carnevali

“Il cuore è vita ed è alla base delle nostre emozioni più forti”. Un muscolo dal modesto apporto calorico, ricco di proteine, vitamine, minerali, molto ferro e pochi grassi. Si può preparare in padella, alla griglia, stufato, oppure “alla comunista”, un’antica ricetta che troviamo ne La cuciniera maestra del 1884, dove il cuore viene lardellato e cotto 4 ore nel vino bianco e nell’acquavite. La ricetta di Rizzieri invece propone il carpaccio di cuore, che dopo essere stato lavato, pulito e cotto a bassa temperatura per tre ore a 52° con pepe di Sechuan, viene completato con una breve cottura alla brace che gli da quelle piacevoli e intriganti note fumé. Una volta tagliato fine e servito a carpaccio, si guarnisce con olio di semi di sesamo e bottoni di salsa di melograno colto dall’albero che è dietro alla macelleria: gli darà freschezza, acidità e note fruttate. La parte ferrosa e l’intensità caratterizzano il cuore di razza Scottona piemontese, selezionata da Lorenzo, è una femmina giovane che non ha mai partorito, di una rara razza tardiva che solo dal ventesimo mese in poi inizia a produrre il grasso che avvolge la carne.

 

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Volpolo 2021 Podere Sapaio

A Donoratico un’interessante wine factory costituita nel 1999, che sta affermandosi anno dopo anno, in un’area che non manca certo di grandi brand, un gioiello enologico nel bel mezzo della Maremma che si sviluppa su quaranta ettari di cui 25 destinati a vigneto, in forza delle straordinarie caratteristiche pedoclimatiche, del suolo franco, argilloso, sabbioso e delle competenze dell’enologo di reputazione internazionale Carlo Ferrini. Un Bolgheri di carattere, pluripremiato, con uve Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot, il piccolo grande vino di Podere Sapaio, che stupisce piacevolmente per l’armonia, l’eleganza e la predisposizione allo scorrere del tempo, ottenuto con vendemmia manuale, una lunga macerazione sulle bucce e un affinamento che si protrae per 14 mesi in tonneaux francesi e barrique. Un taglio bordolese che al naso rivela una ricca trama aromatica floreale e fruttata, che richiama ai piccoli frutti neri e alle spezie. Al palato è giovane, super gastronomico, dal sorso ampio, con note di mora, ciliegia, prugna matura, connotato da tannini non invadenti e notevole freschezza, sapidità, morbidezza. Un calice che offre piacevolezza a piene mani e non nasconde la sua voluttuosa godibilità.

sapaio.it

 

 

 

casarizzieri.it

 

Cover: photo credits Roberto Carnevali