RISTORANTE DA VINCENZO: LA SEMPLICITÀ DELL’ECCEZIONALITÀ

Questo posto c’era, quando la varesina non era ancora asfaltata”. Dietro alle lenti spesse, due occhi si sgranano leggermente nel proferire queste parole, accompagnate da un gesto della mano destra che indica le pareti del ristorante di famiglia. Gennaro Vuolo è seduto su una panca, al termine del servizio della cena, e dialoga con i “suoi” clienti come farebbero degli osti e non, forse, degli chef. Come farebbero i saggi, o tutti coloro che hanno da raccontare una storia vera, che vale ancora la pena di ascoltare.

Una serata come tante. O forse no. Una serata piovosa, a Tradate, sfumatura di una giornata scandita dai temporali violenti e inquieti, siano essi quelli scatenati fra le pieghe del cielo o quelli giocati nel chiaroscuro degli animi umani. Una serata che necessitava di un conforto particolare, uno di quelli che non si trovano nemmeno nella parola ma bensì nella vita che accade. Varcare la soglia del Ristorante Da Vincenzo, a Tradate, significa incontrare, ancora prima che mangiare.

Da Vincenzo è un bene di famiglia, come quei gioielli tramandati di generazione in generazione che finiscono con l’assumere il valore di un cammeo. Fu il padre di Gennaro, Vincenzo Vuolo, a brandire il coraggio di abbandonare l’amata Tramonti, sulla Costiera Amalfitana, per approdare qui, a pochi passi da Varese, e acquisire un piccolo bar, trasformandolo in una pizzeria/ristorante. Erano gli anni ’50 e la ristorazione vestiva panni che oggi potremmo considerare desueti, sebbene il criterio del mangiar bene possa considerarsi universale e, per questo, scelto come cardine dell’attività dalla famiglia Vuolo.

Dapprima l’offerta puntava principalmente sulla pizza, integrando sempre di più l’offerta di ristorante negli anni a venire. Il giro di vite si dovette al figlio di Vincenzo, Gennaro, oggi gestore del Ristorante insieme ai fratelli Pietro, Alfonso e Gaetano. La vocazione dei Vuolo alla ristorazione pare essere non un destino ma piuttosto un’impronta genetica tramutata in una scelta consapevole, che ha portato Francesco, figlio di Gennaro, fra i tavoli del ristorante bistellato Glam di Venezia, dove attualmente lavora come Head Sommelier.

Gli arredi di Da Vincenzo rispecchiano la convivialità semplice e calda della famiglia Vuolo. Un contenuto dotato di forme morbide e privo di fronzoli, quello che si trova fra i tavoli del Ristorante Da Vincenzo, dove l’intensità di un risotto ai porcini freschi o l’eccellenza di un salame di cinta senese possono stupire, appagare e accogliere. L’egocentrismo di una cucina che abbaglia il commensale, qui, non sanno neppure cosa sia. Non vi è traccia di ridondanza, non si è storditi dal riverbero delle luci della ribalta, non si viene percossi dall’inconsistenza dell’aria. Qui si parla con persone che ancora hanno piacere a guardare il commensale negli occhi, mentre gli raccontano cos’hanno in cucina per lui; qui si sorride con persone capaci di accogliere e, qui, si viaggia anche nel tempo.

È sufficiente scendere qualche gradino, ed entrare nella cantina. Con la tenerezza di chi mostra una stanza di casa propria, Gennaro dischiude uno scenario che farebbe commuovere chiunque si lasci scuotere dalla vita e turbare dal tempo. Bottiglie degli anni 80, 70, 60, persino degli anni 50; produttori di fama mondiale come Gaja o icone senza tempo come Sassicaia, Champagne ormai quarantenni, vini esteri che, all’epoca, traghettavano l’eccellenza d’oltralpe in un mondo meno veloce ed alienato di questo: entrare in questa cantina toglie il fiato, poiché lì dentro ci sono troppe sorprese, troppo tempo, troppa energia, troppo mistero e troppa, davvero troppa vita. Una vita che sa di realtà e non di ostentazione, una vita che invita a scostare la polvere con il polpastrello di un dito per mettere in luce la sorpresa del proprio tempo. Una vita che farebbe impallidire i collezionisti e che farebbe saltare sulla sedia i curiosi, ma forse anche gli artisti. E poi una vita che si mangia, che si beve, che si tocca e che si guarda. Perché al Ristorante Da Vincenzo si entra in un modo e si esce in un altro.
È tardi, i pochi clienti rimasti si stanno dirigendo verso la porta. Gennaro afferra una bottiglia di cui va molto fiero. “Abbiamo pensato di aggiungerci della menta”, dice. Apre la bottiglia e ne versa il contenuto giallo e denso in due bicchierini freddi. Si siede, alza lo sguardo e sorride. “Te lo prendi un limoncello?”.

 

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