DONNA CORALY, RESORT DI CHARME
Ci sono storie che narrano di memorie affettive così fortemente radicate nell’animo dei protagonisti da condurli a una sorta di “ritorno al passato”, seppur con intenti nuovi e proiezioni futuristiche. È questo il caso di Lucia Pascarelli, imprenditrice milanese di origini siciliane tornata nel 2013 nei luoghi della sua infanzia per dar vita a un country resort di grande charme: Donna Coraly. Nato da un antico casale del 1300 nella masseria di famiglia, cinta dalla campagna siracusana nel sud – est della Sicilia, Donna Coraly ha (ri)aperto le “porte di casa” dopo un meticoloso lavoro di ristrutturazione che ne ha preservato l’assetto autentico. Il luogo, lo stesso in cui nel 1943 venne siglato l’Armistizio di Cassibile, è ispirato alla baronessa francese Coraly Benoit de Saint Colombe, bisnonna di Lucia, ed è rappresentazione viva di un’ospitalità che è incontro di arte, cibo e coerentemente con la storia che lo attraversa, pace. Oltre a una lussuosa dimora composta da 10 suites, due piscine e un ristorante fine dining, l’hotel accoglie nel suo grande giardino il Parco della Pace, spazio contemplativo in cui artisti di tutto il mondo hanno tratto ispirazione per le proprie opere, distribuite oggi all’interno del resort.
Un luogo genius loci di un boutique hotel che si propone di offrire un’esperienza di piacere, declinata tra design, convivium e racconti di famiglia. Le stanze richiamano la letteratura ed il costume siciliano, con tessiture vintage e venature di stile contemporaneo, tutte dotate di giardino o patio privato. Una vera chicca l’Orangerie, una serra di 240 mq dove il restyling ha preservato la naturalezza della struttura, uno spazio destinato agli eventi o a un aperitivo al tramonto.
Dalla cultivar tipica della zona, “La Zaituna”, prende il nome il ristorante, ed è la stessa con cui l’azienda produce anche un ottimo olio extravergine d’oliva. Anche la maggioranza dei vegetali che arriva in tavola proviene, sempre al passo con la stagione, dall’orto di Donna Coraly. L’offerta gastronomica, orchestrata dallo chef Vincenzo Di Falco, racconta magnificamente la Sicilia senza esasperazioni conservatrici, aprendola alle contaminazioni ma rispettandone l’anima. Lo avevamo incontrato anni fa Di Falco, nel suo ristorante a Siracusa e ne avevamo apprezzato la mano talentuosa, seppur con accenni ridondanti e attraversata da influenze disparate, che, come spesso accade, apparivano quasi come camicia di forza piuttosto che una spinta iniziale propedeutica all’evoluzione. È qui, in questo nuovo telaio, che Vincenzo Di Falco ha rivelato tutta la sua bravura, definendo con attenzione e studio la propria cifra stilistica, uscendo dalla comfort zone, con tecniche affinate ed estro brioso.
I piatti sono un esempio di sviluppo ferace, avvenuto in modo identitario ma non autarchico, a partire dall’ottimo pane fatto con grano perciasacchi, anch’esso prodotto in azienda. Poi gli sfiziosi appetizer, su tutti i Sofficini alla pizzaiola con pomodoro, scamorza affumicata e origano: di una semplicità golosissima. Perfettamente equilibrato lo Spaghetto con scampo, basilico e vaniglia del Madagascar, un gioco di dolcezze che non sgomitano tra loro ma che anzi risultano ben legate. Ottima la surra, al secolo ventresca di tonno, che partendo da una marinatura all’orientale con salsa di soia, zenzero, limone e rosmarino, viene cotta a bassa temperatura per 30 minuti, poi sgrassata al carbone per essere servita, infine, glassata con un’insalata di ispirazione araba con pomodoro, peperone e cipolla cotte al barbecue. Bel lavoro, gran piatto. Rinfrescante e gustoso il Cappuccino che prepara il palato al dessert: niente caffè e latte ma una squisita centrifuga di carote con spuma al limone Igp di Siracusa spolverata di cannella. Il dolce “non dolce” è una reinterpretazione della tradizionale caprese, con un pomodoro datterino sciroppato, adagiato su una quenelle di cioccolato bianco, basilico, fior di sale di Trapani e quel buonissimo olio già citato, prodotto a km zero.
Menzioni speciali, meritatissime, per il Maître Mohamed Jemni e il Bar Manager Lorenzo Di Raimondo, il primo regista di un servizio ben fatto ed elegante, il secondo fine e talentuoso architetto del bere bene. Lo dimostra l’after dinner preparato al momento: estratto di carota dolce, paprika affumicata, gin siciliano al timo arbustivo, rum, sciroppo di miele, salvia dell’orto, rosa della Tunisa, pompelmo. Donna Coraly si dimostra un progetto ben riuscito, in perpetua evoluzione, dove la consapevolezza della ricchezza e grandezza di “ieri” non è un limite ma lo spunto per guardare con lungimiranza al domani.
Donna Coraly
Photo credits: Kiube Studios