CELLA GRANDE, IL “MONASTERO” DELL’ERBALUCE E DEL CAREMA

Se anni fa avessero detto a Roberto Bagnod che un giorno si sarebbe trovato davanti a una platea di giornalisti per presentare i suoi vini, non siamo sicuri che ci avrebbe creduto fino in fondo. Lui, originario di Torre valprato si è fatto da solo, ha dedicato la sua vita agli animali e alla trasformazione prima, e commercializzazione poi di prodotti caseari e di salumi. Dalla Val d’Ayas si trasferisce a Piverone, torna in Valle d’Aosta per acquistare un alpeggio, adibito alla produzione della tipica fontina DOP, e nel 1999 apre un secondo agriturismo, sempre a Piverone. Un iter che lo porta ad apprendere l’importanza del ciclo della natura e dell’equilibrio che c’è intorno a ogni singolo elemento. Ora, dopo una vita passata tra bovini e suini, la scelta di iniziare a fare vino potrebbe sembrare piuttosto bizzara. Ma schiettamente ammette – e questa sua caratteristica è nota ancora prima di essere apprezzata – che è per il business iniziato nel 2000 con le biomasse che riesce a mettere le mani su Cella Grande, uno dei più bei luoghi del canavese, anzi, del Piemonte.

Abbazia romantica, in passato sorgeva la Cella di San Michele mutata all’inizio del XVI secolo in San Marco. Campanile e chiesa sono tutt’oggi presenti, la struttura, imponente, si affaccia al lago di Viverone e, nientedimeno, alla struttura spettava il diritto di pesca sul lago e la produzione di vino. Un edifico che fu a lungo abitato dai monaci e che, passato in mano a nobili famiglie, nel 1518 si unisce al convento di San Sebastiano di Biella. Diventa un’abitazione dal 1798.

Quella pletora di giovani che con grande entusiasmo animano le colline canavesane hanno dato da pensare a Roberto. Non bisogna insistere molto, decide di comprare Cella Grande. Inizia la produzione di vino puntando sulle due varietà locali: Erbaluce e Carema. Si vocifera che sia stato letteralmente trascinato dall’enologo Donato Lanati, che accetta l’incarico di consulenza senza riserve. L’obiettivo è produrre grandi vini bianchi e rossi, con l’obiettivo di posizionare l’Erbaluce come un vino adatto all’invecchiamento. Dopo i primi studi sulle viti, e sulle uve, si incrociano i dati: “ci sono i presupposti per scrivere una nuova pagina dell’enologia con l’Erbaluce”. Senza disturbare poi etichette di fama mondiale, che vedono il Dott. Lanati coinvolto come consulente, si può dire con certezza che la base di studi scientifici sul nebbiolo è tale da rendere il lavoro sul Carema “più semplice”. Ebbene, la storia non è finita all’arrivo a Cella Grande, Roberto trova nelle vecchie cantine interrate un vero e proprio tesoretto, ottomila bottiglie dormienti sui lieviti. L’assaggio convince, le basi sono ottime. Si guarda poi al clima, le maturazioni delle uve cambiano da Mazze – ultimo avamposto in cui si può produrre Erbaluce – a Viverone, Piverone e Carema.

Si passa da suoli più sabbiosi a quelli ricchi di argilla e calcare. I vini di Caluso sono mediamente più maturi ma non per questo meno longevi. Anzi. Il sistema di allevamento a pergola, nel canavese noto come “topia”, è solo uno degli elementi che possono contribuire a rispondere, con fattivo beneficio per le uve, all’innalzamento delle temperature in corso. L’acidità, vera forza dell’Erbaluce, rende l’uva plastica. Cella Grande ricomincia la sua storia enoica e nell’attesa di veder altre etichette ci godiamo uno splendido Erbaluce di Caluso Docg Spumante Brut 2014, dai tratti balsamici. Tra note alpine e di magnolia si fa strada con una materia decisamente voluminosa in totale equilibrio con l’acidità che protrae il sorso in una lunghissima sensazione retroalfattiva fatta di pungenti note iodate.

Esaurite presentazioni, vini e obiettivi, Cella Grande ad oggi produce 60.000 bottiglie, tra spumanti metodo classico, fermi e rossi, e affianca una proposta di pernotto B&B, spazi per eventi, un ristorante bistrot e un centro benessere.

 

 

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