CIBRÈO-HELVETIA & BRISTOL, RINASCIMENTO FIORENTINO
In Toscana, mangiar bene non è mai stato troppo difficile. Non a caso, è proprio il Rinascimento l’epoca in cui il vino e il cibo fiorentino raggiungono la massima celebrità, destinata a durare fino ai giorni nostri: Firenze, infatti, stabilisce il suo dominio sulle altre città-stato toscane e, a partire dalla metà del’500, una sostanziale pacificazione del territorio, teatro di tanti scontri militari nei secoli precedenti, rende finalmente tranquillo il lavoro nei campi e funzionale la pratica della mezzadria, sopravvissuta fino a pochi decenni fa. Molti edifici di origine medievale sparsi per il contado, ancora oggi chiamati “castelli”, perdono via il loro aspetto militare adeguandosi a nuove funzioni, trasformandosi talvolta in ville residenziali, architettonicamente perfette e con interni da capogiro.
Si passa poi all’Ottocento, quando l’eroe del Grand Tour ha la Toscana come tappa obbligata del suo viaggio per curare malinconia e solitudine di fronte ai cipressi, agli ulivi e alle pale del Botticelli di Filippo Lippi.
Ora la regione e soprattutto il suo centro abitato più importante, vogliono riappropriarsi dei giusti spazi, mettendo in primo piano (e nei giusti casi) i piatti di una grande cucina semplice, ma che richiede un’arte sapiente nel bollire insieme cavoli, verdure e pane. Già, perché, per esempio, la pappa al pomodoro, il crostino e la ribollita non perdonano, se il pomodoro non è rosso al punto giusto o se il pane non è “sciocco” (senza sale); oppure ancora, se la proporzione di aglio e finocchio (ramerino) non è rispettata, non basta un bel calice di Chianti Classico o di Brunello di Montalcino a salvare il pasto.
Nella ricca tradizione della cucina fiorentina, un capolavoro gastronomico appartiene sicuramente al Cibrèo, un umido di rigaglie di pollo, sostanzialmente una fricassea. L’origine non è chiara, ma come dice l’Artusi “è un intingolo semplice, ma delicato e gentile, opportuno alle signore di stomaco svogliato e ai convalescenti”.
La delicatezza, la gentilezza e il savoir faire non mancano certo all’universo Cibrèo della famiglia Picchi, ormai degnamente orchestrata dal solarissimo e altrettanto dinamico Giulio. Una ricetta differente, sempre più al passo con il tempo, la cui filosofia prende spunto da uno dei piatti più interessanti del passato e ahinoi in via di estinzione, ma che rispetta rigorosamente la stagionalità insieme al meglio dell’agricoltura e dell’allevamento locale.

Lo storico Cibrèo Caffè di Firenze
“Oggi è un giorno storico per il mondo Cibrèo, che compie un passo importante sancendo un’alleanza che segnerà la storia del nuovo Rinascimento fiorentino nel mondo dell’enogastronomia e dell’ospitalità. A partire dal 30 aprile, sarà aperta la seconda sede fiorentina del Cibrèo o all’interno dell’Helvetia & Bristol, storica realtà alberghiera, fiore all’occhiello dell’imprenditoria italiana. Sono certo che l’unione tra queste due realtà, forti di condividere e praticare da più di 40 anni l’arte dell’accoglienza, segnerà l’inizio di una nuova avventura che si preannuncia unica ed emozionante per Firenze, per l’Italia e il resto del mondo”. Ci ha ricordato lui stesso qualche settimana fa.
Un bellissimo salotto nel centro storico di Firenze, un connubio indovinato, dove gli spazi interni del Cibrèo Caffè e il Dehors, con affaccio sulle facciate storiche di Palazzo Strozzi, rispecchiano il calore e la genuinità dell’accoglienza fiorentina, in un’atmosfera elegante e spensierata. Una bella proposta di portate, affidata al preparato Oscar Severini, i cui spiccano piatti piuttosto collaudati, simbolo di eccezionale appagamento gustativo, come il Patè del Cibreo, i Tagliolini Cacio e Burro e la Braciola taglio di bistecca, frollata 40 giorni.
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Cover: Giulio Picchi e Oscar Severini