STORIA E FASCINO DELLA FONTINA E … TRE VINI IDEALI

Nei primissimi anni sessanta, scoppiò un amore travolgente fra Liz Taylor e Richard Burton e mentre erano a Roma per girare il colossal “Cleopatra”, disertarono il set, diretti in Svizzera, riuscendo a tenere segreta la liaison, per qualche giorno, meglio che non si sapesse troppo in giro, erano entrambe sposati e stavano infrangendo la legge, rischiando un periodo di detenzione. Raggiunta Aosta, l’ultimo strappo prima della Svizzera, percorrendo la vecchia strada che sale al Passo del Gran San Bernardo, un tracciato al cardiopalma, tutto curve e rettifili, dove negli anni ’30 si disputava una temibile gara in salita, ma la loro Cadillac cabrio, ebbe un guasto, la forte pendenza aveva mandato su di giri il motore e fatto bollire l’acqua del radiatore. Un regista che passava di là li soccorse prontamente accompagnandoli all’Albergo Italia, avamposto di ospitalità e buona cucina guidato dalla famiglia Brunod, mentre la serie di valigie di coccodrillo nero, con le iniziali di Liz Taylor in oro, sarebbero arrivate in albergo successivamente. Lui, affascinante e dallo sguardo penetrante, lei minuta, proporzionata, bellissima, con occhi stupendi di un viola intenso, una volta entrati, attesero al bar, poi presero due camere, senza firmare il registro, per poi utilizzarne una sola: la numero 15, ancora oggi la più richiesta.

Due divi assoluti per l’epoca, che si vedevano solamente sui rotocalchi e nei film, fuggiti dal set di una delle produzioni più costose della storia del cinema, con il record di cambi d’abito detenuto dall’affascinante attrice, che poteva disporre di 65 vestiti diversi, uno in oro 24 carati. Si trattennero due notti nell’albergo che la famiglia Brunod conduce dai primi anni trenta, meta gastronomica per palati fini, a 2478 mt., ultima propaggine in territorio italiano, prima del confine, ma senza preoccuparsi troppo di assaggiare i piatti della signora Brunod, una volta raggiunta la camera ordinarono quasi esclusivamente whisky and soda e sandwich di pollo, vedendosi di rado. Era una storia d’amore impetuosa e loro due amanti famosi, focosi e litigiosi che si sarebbero lasciati e ripresi, unendosi in matrimonio due volte per poi nuovamente divorziare. Furono due giorni e due notti tutte per loro, lontano dai flash dei paparazzi, fino a quando venne riparata l’auto e poterono ripartire per la Svizzera.

L’Albergo Italia prima di loro aveva ospitato altri famosi per una breve pausa al bar, per pernottare o per lasciarsi guidare dalla cucina tipica valdostana dei Brunod, come il generale Montgomery, il maresciallo Graziani, Truman Capote, Palmiro Togliatti, il Duca d’Aosta, Juan Manuel Fangio. E oggi come ieri che c’è la quarta generazione a guidare lo storico hotel, la cucina continua ad essere sempre un fiore all’occhiello per l’Albergo Italia. Lo chef Marco Giudici Cipriani, propone una cucina di territorio, con le ricette più fedeli alla tradizione e la Fontina valdostana è tra gli ingredienti più celebrati, per dare personalità a piatti come la fonduta, con patate novelle al vapore e crostoni di pane; la zuppa alla vapelenentse con brodo, pane nero, cavolo e fontina; o ancora le crespelle di farina di castagne con prosciutto crudo Jambon de Bosses Dop e Fontina; le linguine al vino rosso su fonduta di Fontina d’alpeggio; e i succulenti gnocchi di polenta mocetta e fonduta.

Sono solo alcuni dei piatti che si preparano in Val D’Aosta e hanno la Fontina al centro, un formaggio unico nella sua essenza, fortemente radicato, che caratterizza l’intera regione, emblema di naturalità e tradizione, uno di quei formaggi che si vorrebbero sempre avere in frigo. Si origina tra alpeggi incontaminati, castelli inaccessibili e cime tra le più alte d’Europa, nella regione più elevata d’Italia: la Valle d’Aosta. Le prime tracce della Fontina riportano al 1270, ma le prime lavorazioni casearie in valle sono molto più antiche, comparirà in letteratura per la prima volta nel 1477, nella Summa Lacticinorum del medico vercellese Pantaleone di Confienza e qualche tempo prima nell’affresco conservato nel castello di Issogne, che ritrae una bottega artigianale con alcune forme di Fontina impilate sul bancone, pronte ad essere vendute. L’origine del nome Fontina è incerto: potrebbe riferirsi a un alpeggio di produzione valdostano chiamato ‘Fontin’ o al vecchio villaggio di ‘Fontinaz’ o ancora al termine francese ‘fondis’, dalla tendenza del formaggio a sciogliersi se esposto a temperature non particolarmente elevate.

Il carattere deciso della Fontina, i profumi di latte e fieno, gli aromi di burro e noci, rappresentano un concentrato di territorio, che durante il tasting con i tre vini, sia in purezza, che nei piatti della cucina tipica regionale assaggiati, ha rivelato sentori inattesi e inaspettate nuance. L’impegno del Consorzio Produttori e Tutela della Dop Fontina, ha consentito in questi anni la tutela, la protezione del marchio e la corretta esecuzione delle metodologie produttive naturali di questo gioiello della tradizione casearia italiana. Solo all’interno della Valle d’Aosta può avvenire la produzione, la stagionatura e il confezionamento della Fontina e ciò ha consentito il suo ingresso nel 1996 nella lista dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta dell’Unione Europea, ottenendo 28 anni fa, il marchio Dop. Nel 2023 sono state prodotte 360.000 mila forme, con un valore al consumo di oltre 50 milioni di euro, la Fontina è l’ottavo formaggio di latte vaccino per importanza tra i formaggi Dop italiani e tra i pochissimi ad essere prodotto esclusivamente con latte bovino crudo, fresco e intero.

Le sue caratteristiche assolutamente uniche, la sua genuinità, la filiera corta e l’eccezionale salubrità dell’ecosistema della più piccola regione d’Italia, hanno favorito un ulteriore consacrazione. Il prestigioso Wall Street Journal, nel 2016 ha incluso la Fontina Dop tra i 30 migliori formaggi al mondo. La lavorazione avviene ogni anno nel corso di 100 giorni, nei quali ogni abitante dell’alpeggio, dal casaro, al pastore, al tuttofare, compie il suo dovere in condizioni non propriamente agevoli: “Dalle lunghe strade sterrate per raggiungere gli alpeggi, alla sveglia alle 3 del mattino per la mungitura, ai pascoli impervi, la loro passione e la loro disciplina sono un valore da salvaguardare a difesa della biodiversità del territorio e di un’antica tradizione casearia da custodire e traghettare verso il futuro” – conferma Andrea Barmaz, Presidente Consorzio Produttori e Tutela della Dop Fontina.

 

 

DEGUSTAZIONE

Di seguito tre le tipologie consentite dal disciplinare della Fontina Dop, riconosciuto come il prodotto caseario d’eccellenza d’Europa, prodotto più in alto, abbinate a tre grandi vini estremamente appropriati a valorizzarne il pairing.

 

FONTINA DOP

Le forme di Fontina si possono produrre nel corso di tutti i dodici mesi, esclusivamente nel territorio della Valle d’Aosta, utilizzando solo tre ingredienti: sale, caglio e latte intero crudo, appena munto dalle bovine di razza valdostana autoctona, in molti allevamenti la mungitura è fatta ancora a mano. La lavorazione avviene due volte al giorno interamente a mano e la stagionata si protrae per almeno 90 giorni. Alla vista la Fontina si presenta con la caratteristica crosta marrone chiaro, la pasta di colore giallo paglierino tenue, mentre al naso ha una trama floreale, lievemente speziata, all’assaggio è morbida, fondente, lattica, dolce, aromatica con note avvolgenti di burro e burro fuso. Un florilegio di aromi e sapori che rivela tutta l’unicità di un territorio unico al mondo, che si origina in un particolare ecosistema influenzato positivamente dalle cime della Valle d’Aosta, dall’aria e dall’acqua purissime, dai foraggi delle mucche ricchi di erbe spontanee e fiori, dalle favorevoli escursioni termiche.

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ETNA ROSSO DOC GIOVANNI ROSSO

Un Nerello Mascalese in cui si concentra tutto l’estro e la visione imprenditoriale del barolista Davide Rosso, titolare di un brand centenario, iniziato al vino dal papà Giovanni. Un piemontese a suo agio con la tradizione enologica di Serralunga d’Alba, protagonista del successo di questo Etna Rosso, prodotto in Sicilia.  Enologo di respiro internazionale, continuatore dei saperi di famiglia, prende il timone dell’azienda nel 2001, ispirandosi alla Borgogna e a Bordeaux, che conosce bene, poi nel 2016 decide di affiancare alla cantina piemontese una siciliana e acquisisce la tenuta presso Solicchiata di Castiglione di Sicilia, votandosi da allora anche alla valorizzazione dei vitigni siciliani. 14 ettari vitati in contrada Montedolce, sulle pendici dell’Etna, in prossimità del cratere estinto più grande dell’Etna, dove sono banditi i diserbanti e le vinificazioni si svolgono in modo accurato, con lieviti indigeni e affinamenti in grandi botti di rovere francese, per produzioni identitarie che esprimono grande eleganza. La raccolta delle uve si compie a mano in ottobre, la pressatura è soffice, la permanenza delle bucce nel mosto si protrae in vasche d’acciaio per circa 10 giorni, dando vita a una delle interpretazioni di questo vitigno aderenti alla tradizione, più riuscite in circolazione, che colpisce per l’elevata piacevolezza e l’impeccabile tecnica di vinificazione. Al naso un bel floreale con gradevoli sentori erbacei, che virano sulla macchia mediterranea, l’ibisco, la pesca, l’iris, il tabacco, la grafite. Al palato, un approccio lieve, fruttato, avvolgente, morbido, tannico, che diventa struttura, corpo, potenza, sapidità sia all’inizio che alla fine, freschezza, insieme a note agrumate e a una leggera spezia, per chiudere lungo e persistente.

 

FONTINA DOP LUNGA STAGIONATURA

L’affinamento delle forme in grotta che si protrae per almeno per 180 giorni, lascia maturare la fontina, che evolve verso un gusto più intenso, complesso e aromatico. Le forme sono di crosta marrone tendente allo scuro, mentre la pasta di colore giallo intenso, acquisisce morbidezza, tendenza a fondere, restituendo al palato note aromatiche legnose e lattiche particolarmente intense e persistenti.

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PINOT NERO “MATAN” PFITSCHER

Ci sono luoghi dove la terra racconta storie antiche, e ci sono famiglie che quelle storie le trasformano in emozioni. A Montagna, un piccolo borgo abbracciato dai vigneti dell’Alto Adige, la famiglia Pfitscher vive e respira il vino da oltre 150 anni. Non si tratta solo di tradizione, ma di un costante dialogo tra radici profonde e una visione che guarda avanti, verso un futuro fatto di innovazione e rispetto per il territorio. Su pendii vertiginosi che sfiorano il cielo e catturano ogni raggio di sole, i Pfitscher hanno costruito non solo una cantina, ma un racconto fatto di passione e ricerca continua. Qui, ogni grappolo è il frutto di un lavoro meticoloso, di una conoscenza tramandata di generazione in generazione, e di un’ambizione chiara: interpretare il terroir in modo autentico, moderno e irripetibile. La cantina non è soltanto un luogo di produzione, ma un tempio del vino, dove la natura e la mano dell’uomo si incontrano per creare qualcosa di straordinario. Tra i 25 ettari di vigneti di proprietà, curati con meticolosità e rispetto per la natura, spiccano quelli dedicati al Pinot Nero, fiore all’occhiello della produzione aziendale. Dal 2016, Hannes Pfitscher ha preso in mano la parte enologica, segnando un punto di svolta nella stilistica aziendale. Con la vendemmia 2021, considerata da me una delle migliori mai assaggiate per il “Matan”, questa visione moderna raggiunge un’elevata espressione. La sua interpretazione del Pinot Nero si distingue per un approccio stilistico profondamente nordico, che gioca su un equilibrio raffinato tra piccola frutta rossa e una leggera riduzione, portando nel calice un’eleganza contemporanea senza eguali. Il Pinot Nero “Matan” 2021 rappresenta una vera dichiarazione di intenti per la cantina Pfitscher. Questo vino non si limita a raccontare il terroir di Montagna, ma lo celebra con una precisione stilistica che guarda al futuro senza dimenticare il passato. La fermentazione, rigorosamente a temperatura controllata, avviene per circa due settimane, con continui rimontaggi e follature che permettono di estrarre ogni sfumatura aromatica dalle bucce. Successivamente l’affinamento avviene per 12 mesi in barrique, prosegue con 6 mesi in legno grande e culmina con un riposo finale di 12 mesi in bottiglia. Questo processo conferisce al ‘Matan’ un’armonia straordinaria, in cui struttura e freschezza si intrecciano con naturalezza. Nel calice, il “Matan” si presenta con un rosso rubino brillante e profondo, di straordinaria eleganza. Al naso, un raffinato intreccio di piccoli frutti di bosco e ciliegia nera si unisce a delicate spezie, componendo un bouquet che seduce per la sua nitidezza e finezza. Accenti di pietra focaia aggiungono profondità e arricchiscono la complessità aromatica. Al palato, il vino sorprende con una texture setosa e un equilibrio impeccabile, dove tannini vellutati si fondono armoniosamente con una freschezza vivace e avvolgente. Non è soltanto un Pinot Nero: è l’espressione di un progetto vinicolo nel nome della qualità e che conferma la cantina Pfitscher come una delle realtà più dinamiche e promettenti dell’Alto Adige.

 

 

FONTINA DOP D’ALPEGGIO

Si ottiene con il latte delle mucche di razza valdostana, che pascolano libere negli alpeggi a 2700 metri d’altezza, nutrendosi di erbe fresche e fiori di montagna, da giugno a settembre. La trasformazione del latte appena munto avviene sul posto, nelle casere d’alpeggio, mettendo in campo le artigianalità acquisite in secoli di tradizione. Il periodo di stagionatura medio è di circa di tre mesi. La crosta marrone chiaro delle forme, avvolge una pasta dal colore giallo paglierino intenso, determinata dalla naturale alimentazione delle bovine. Il morso morbido e fondente, al palato si caratterizza per dolcezza e aromaticità, con suadenti ritorni erbacei di erba medica, piante officinali e fiori di montagna, insieme ai sentori lattici tipici della Fontina.

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FOSARIN COLLIO BIANCO RONCO DEI TASSI

Ronco dei Tassi sorge in prossimità del Parco Naturale di Plessiva, nel Collio Goriziano, un’oasi naturalistica ricca di cinghiali, caprioli, volpi, tassi e scoiattoli, densa di querce, robinie, castagni, che crescono rigogliosi intorno ai ruderi di una polveriera della Seconda Guerra Mondiale, su rilievi tra i 400 e 200 metri. Un gioiello vitivinicolo esteso oltre 50 ettari, di cui 23 a vigneto e i rimanenti a bosco, dove metodologie virtuose, ecosostenibilità e passione per il territorio, si fondono, per dare vita a vini di notevole livello. Un brand fondato nel 1989 da Fabio Coser con la moglie Daniela, che iniziarono con un podere di circa nove ettari, di cui quattro a vigneto. Negli anni entrarono in azienda i figli Matteo ed Enrico, proseguendo con la medesima visione di papà Fabio, prendendosi a cuore l’ambiente circostante, come veri e propri custodi del territorio. Una virtuosa realtà vitivinicola di confine, a pochi passi dalla Slovenia, il cui nome riporta alla disposizione dei vigneti in terrazze ben esposte, denominate ‘ronchi’ e alla golosità verso l’uva matura delle vigne, da parte di alcune colonie di tassi presenti. Una dedizione rara e una reputazione che nel 2024 hanno fruttato ad Enrico Coser, il riconoscimento ‘Personaggio dell’anno’- Vinoway Selection 2024: “La filosofia che ha sempre perseguito mio padre si fonda sul totale rispetto del territorio e dell’uva prodotta – ha spiegato Enrico Coser, al momento di ritirare il Premio, – riuscendo a portare nel calice una profonda identità varietale, del luogo dove l’uva nasce, in una forma così elegante e corretta da non dover mai cedere a mode o forme alternative di vinificazione”. Il Fosarin che abbiamo scelto da abbinare alla Fontina D’Alpeggio è un ‘Collio’, uscito in prima annata nel 1990. Un uvaggio tipico del Collio, con uve Tocai Friulano, Malvasia, Pinot Bianco, che si origina su un vigneto di 2,5 ettari, a 180 metri s.l.m., con tante piccole parcelle delimitate da boschi, vigne vecchie oltre cinquant’anni, suoli di marne arenarie di origine eocenica, esposizioni a sud, sud-est. Colpisce per piacevolezza, equilibrio, personalità e al naso si distingue per freschezza, eleganza, finezza, con sentori di pesca gialla, fiori, tiglio, biancospino, mela, anice stellato. Al palato è rotondo, pieno, di grande acidità, ma anche struttura, intensità, morbidezza, con un intrigante finale sapido, lievemente fruttato. La lunghezza con cui chiude, lascia intuire una notevole capacità di invecchiamento. È tra i bianchi del Collio (prezzo-qualità), che considero migliori in assoluto.

 

 

 

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giovannirosso.com

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