PROSCIUTTO DI PARMA E BOLLICINE REGGIANE
Si riaccende l’attenzione su Napoleone Bonaparte e sui suoi gusti in fatto di cibo e vino, dopo l’uscita del film Napoleon, prodotto nel 2023 da Ridley Scot e interpretato da Joaquin Phoenix. Gli storici ripercorrono le vicende connesse al condottiero e ci restituiscono un uomo misurato che viveva la tavola in solitudine, frettolosamente e doveva convivere con una fastidiosa ulcera. Tra i vini viene ricordato il Gevrey-Chambertin, un pinot nero della Borgogna adatto all’invecchiamento, che lo seguirà nei maggiori teatri di guerra, dall’Egitto alla Russia. Tra i piatti rimane memoria del fagiano arrosto con cui Napoleone pranzerà in carrozza tra Novellara e Bologna il 15 ottobre 1796 e naturalmente il celeberrimo ‘Pollo alla Marengo’, un piccolo volatile che entrerà nella storia, cucinato il 14 giugno 1800, con ciò che aveva a disposizione il cuoco svizzero Dunand: qualche gambero di fiume, uova, olio, aglio, pomodori, insaporiti da una salsa al cognac, poco dopo la vittoriosa battaglia di Marengo dove i Francesi prevarranno sugli Austriaci. Ma non solo. Giovanni Ballarini, Professore dell’Università degli Studi di Parma, storico e studioso di alimentazione, già Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, riporta alla luce alcuni documenti che ci confermano da parte del generale francese un’inaspettata predilezione per il Prosciutto di Parma, tanto che farà di tutto per averlo sulla mensa delle sue truppe. Tutto inizia nel 1801 mentre Napoleone è a Milano e riceve una fornitura di prosciutti di Parma dal consigliere Moreau de Saint-Méry, che ne elogia la digeribilità.
Il 25 giugno del 1805 il condottiero è a Parma, dove assaggerà i prelibati prosciutti di Vianino (frazione del comune di Varano de’ Melegari), ricevendo dettagliate spiegazioni sul ruolo degli assaggiatori e sull’uso della ‘fibula’, l’infallibile e prezioso strumento fatto con osso di cavallo, che nel corso della stagionatura attesta lo stato di conservazione, il sapore e la dolcezza del prosciutto. Successivamente, mentre è a Varsavia, Napoleone scriverà a Nicolas Appert “… perché non arrivano i vasi di carne e di fagioli che vi ho ordinato per la fanteria?!…Vi avverto che in data 6 gennaio 1807 sarò a Varsavia, allora decreterò che dagli stati di Parma sia permessa l’esportazione dei salumi… Vi farà una bella concorrenza… Il prosciutto si conserva, sapete, e senza scatole…”. Un’inaspettata consacrazione per il re dei salumi, oggi tra le eccellenze italiane più rinomate ed esportate, ma è una storia che affonda ancor più indietro nell’antichità. La reputazione dei salumi prodotti in questa parte dell’Impero chiamata Gallia Cisalpina era già nota in epoca romana, come conferma Varrone nel De Re Rustica, grazie all’operosità dei suoi abitanti che si dedicavano all’allevamento di grandi mandrie di maiali e dimostravano una particolare abilità nella lavorazione delle carni destinate ad essere stagionate. Ma anche Catone parla della raffinata tecnica salumiera in quest’area, nella redazione del suo De Agri Coltura, nel II° secolo a. C., insieme a Polibio, Strabone, Orazio, Plauto e Giovenale. L’abilità dei Lardaroli Parmensi di maneggiare questa tradizione plurisecolare viene regimentata alla fine del Medioevo, con l’Arte dei Lardaroli, e prima ancora con quella dei Beccai, mentre il Prosciutto di Parma comincia a vedersi nei menù dei banchetti e delle cene più importanti, in occasione di sposalizi e ricorrenze, menzionato nel Libro de Cocina della seconda metà del Trecento, nel menù delle nozze Colonna del 1589, nel prezioso testo del Nascia, cuoco di Ranuccio Farnese nella seconda metà del XVII secolo. Un infallibile metodologia produttiva, che si tramanda da secoli e si avvale di inimitabili condizioni microclimatiche ed ambientali, proprie dell’area collinare a sud di Parma, grazie all’aria che arriva dal mare della Versilia e favorisce l’asciugatura e la stagionatura delle cosce, caratterizzando il tipico sapore dolce. Ma è nel 1963 che si costituisce il Consorzio del Prosciutto di Parma, per tutelare questo prodotto straordinario, salvaguardare il corretto impiego delle materie prime e l’osservanza delle scrupolose norme di lavorazione. Un organismo che si occupa della promozione e della valorizzazione del prodotto in Italia e nel mondo, su mandato dello Stato esercita attività di controllo sul prodotto e fornisce assistenza alle aziende associate che si riconoscono in un rigido disciplinare, conclamato dall’inconfondibile corona posta sulla cotenna delle cosce.
Il Prosciutto di Parma si produce nell’omonima provincia, in un’area che inizia a 5 km a sud della Via Emilia, per estendersi fino a 900 mt di altitudine, delimitata a est dal fiume Enza e a ovest dal torrente Stirone. Un salume genuino, completamente naturale, che si compone di soli due ingredienti: carne di suino nata e allevata in Italia e sale marino, senza conservanti, né additivi alcuno, impiegando le ancestrali metodologie produttive di lavorazione e almeno 14 mesi di stagionatura, garantendo con il marchio a fuoco, tracciabilità e sicurezza. Una specialità riconosciuta a livello planetario, che raggiunge tutti i continenti e viene insignito dalla Comunità Europea del marchio di Denominazione di Origine Protetta Dop. Un orgoglio nazionale da scoprire visitando il Museo del Prosciutto di Parma a Langhirano, un autentico viaggio nella storia, grazie alla competenza e alla passione del coordinatore dei Musei del Cibo della provincia di Parma Giancarlo Gonizzi, attraverso gli antichi strumenti per la lavorazione del prosciutto, la storia, gli estimatori illustri, le fasi produttive, il fascino del taglio a mano, le prime affettatrici e tutte le possibili le connessioni con la letteratura, l’arte e la tavola.
IL TASTING
L’assaggio si è focalizzato su un Prosciutto di Parma stagionato 23 mesi, scegliendo tre parti con percentuali di grasso e caratteristiche organolettiche differenti, che potremo trovare nelle salumerie specializzate: “culatta”, “fiocco” e “gambuccio”. Prima di diventare prosciutto, la coscia fresca, contiene ancora l’80% di acqua. Viene sottoposta a salatura con sale secco distribuito sulla superficie, per poi penetrare a seconda della percentuale di acqua che incontra nella coscia fresca, la cotenna invece verrà cosparsa di sale umido. La salatura maggiore avviene con il sale secco nella parte magra, rispetto alla salatura della cotenna. Nelle prime settimane di stagionatura ci sarà più sale sulla superficie, ma con il trascorrere del tempo tenderà a distribuirsi all’interno del prosciutto, andando a cercare le parti della carne dove è presente la maggior percentuale di acqua. Durante la stagionatura, nella parte magra e in quella grassa, avvengono una serie di processi chimici ed enzimatici naturali, che portano alla formazione degli aromi caratteristici che compongono il prosciutto. Nella parte magra esterna, in particolare nella culatta e nel fiocco, più che nel gambetto, si formano impercettibili microorganismi e una flora microbica che contribuisce alla complessità dei suoi caratteristici profumi, diversi e complementari a quelli che si originano nella parte interna. All’assaggio il Prosciutto di Parma offre un florilegio di descrittori differenti, con quasi un centinaio di diverse molecole che caratterizzano la complessità degli aromi contenuti. Al naso prevalgono aromi fruttati, di pesca, mela, ananas, frutta secca, noci, nocciola, sottobosco, funghi, note vegetali e casearie. Per quanto attiene all’abbinamento enologico, mi sono orientato verso tre bollicine di pregio prettamente emiliane che sono certo entusiasmeranno anche voi.
LA CULATTA DEL PROSCIUTTO
E’ la parte più preziosa della coscia, con cui si ottiene anche il culatello e si trova nel gluteo del suino, opposta alla noce, dove non c’è osso, un’area più marezzata e dolce, con una percentuale più elevata di venature di grasso, grazie al sale che si è sciolto in misura minore per la percentuale inferiore di acqua. E’ una parte del prosciutto che contiene più grasso e crea nel palato una delicata sensazione oleosa che tende a inibire le papille che riconoscono il salato. All’assaggio si ha la percezione di un prodotto rotondo, pieno, con una delicata nota dolce e una sensazione di maggior umidità.
abbinamento consigliato
GRANCONCERTO MEDICI ERMETE
Lambrusco Reggiano Metodo Classico Rosso Brut
Oggi ci sono la quarta e la quinta generazione a guidare la Medici, ma tutto nasce nel 1890, quando a Gaida, in provincia di Reggio Emilia, Remigio Medici, proprietario di tre osterie, decide di fondare una cantina dove lavorare le uve dei vigneti di famiglia. L’azienda reggiana si connoterà per una crescita costante, che porterà ad ampliare la superficie vitata e a intraprendere le nuove sfide dei mercati internazionali, portando l’estensione agli attuali 80 ettari di proprietà, dedicati a diverse tipologie di Lambrusco, interamente a regime biologico, con un export che oggi arriva in 70 Paesi nel mondo. Il Granconcerto è uno dei vini di punta della Medici ed è tra le cuvée che mi hanno maggiormente colpito. Un Lambrusco reggiano 100% Salamino, decisamente identitario di cui si percepisce il frutto, nasce su terreni argillosi, con vigne allevate a cordone speronato e produzioni che arrivano al massimo a 9000 kg. per ettaro, vinificato con metodo tradizionale in bottiglia e 26 mesi sui lieviti. Al naso esprime eleganza e finezza, con sentori floreali di glicine, ligustro, ribes nero, lampone, fragoline di bosco. Al palato il sorso è secco, armonico, complesso, di grande freschezza, bevibilità e piacevolezza. Un Lambrusco da grandi occasioni, con una parte leggermente croccante, molto acida, nervosa, un interessante riflesso vegetale e una straordinaria capacità di sfidare il tempo con invecchiamenti prolungati.
IL FIOCCO DEL PROSCIUTTO
E’ la parte della coscia intorno al femore. Una zona meno grassa, con meno venature marezzate all’interno, che tende con la stagionatura ad asciugarsi di più e a perdere più acqua. La fetta è più asciutta, ha meno grasso e si percepisce come più saporita, mentre da un punto di vista olfattivo è decisamente ricca di profumi.
abbinamento consigliato
GRAN CUVÉE DI LAMBRUSCO LINI 910
Metodo Classico
Un Lambrusco di pianura che nasce a Correggio (Reggio Emilia), dall’esperienza di una dinastia del vino fondata nel 1910 dal bisnonno Oreste e condotta con determinazione da Alicia Lini e dal cugino Alberto. Generazioni che si passano il testimone fedeli alla medesima filosofia, rispettare l’ecosistema e lavorare le migliori uve, per il miglior vino possibile. Labrusca è la storia dell’azienda, un metodo Martinotti dall’inconfondibile etichetta, con 85% di Lambrusco Salamino e 15% di Ancelotta, a cui seguiranno tanta ricerca e sperimentazione, fino alla definitiva consacrazione della cantina reggiana, grazie al Metodo Classico Rosso Millesimato (da uve Salamino), selezionato da Wine Spectactor tra le prime 100 migliori etichette d’Italia. Un riconoscimento internazionale che confermerà la solidità della strada intrapresa. Tuttavia è con la Gran Cuvèe di Lambrusco, un metodo classico 100% salamino di grande concentrazione e freschezza, che ritrovo l’essenza del celeberrimo vino emiliano. Al naso delicati sentori di tiglio, osmanthus, gelsomino, insieme a lamponi, fragoline di bosco, ribes. Al palato fresco, secco, morbido, sapido, coinvolgente, elegante, minerale, lungo, per chiudere con una nota marcata che ricorda la frutta rossa. Un Lambrusco di grande personalità.
IL GAMBUCCIO DEL PROSCIUTTO
All’assaggio risulta uno dei pezzi più dolci del prosciutto, con un morso tenero, umido e delicato, ma meno profumato perché non può giovarsi dei microorganismi della parte esterna. Durante la stagionatura il sale si diffonde e migra un po’ in tutto il prosciutto, per arrivare in misura minore nel gambuccio che è interamente coperto dalla cotenna e si trova nella parte terminale, quella più sottile. Il gambuccio rende bene l’idea di quanto del prosciutto si utilizzi tutto, viene utilizzato in cucina per preparare piatti tipici, come le classiche tagliatelle al ragù, ma vi sono estimatori che prediligono gustarlo in purezza e vogliono solo quello.
abbinamento consigliato
SCANDILIA TENUTA DI ALJANO
Spumante Rosé Dosaggio Zero
Tenuta Aljano, a Jano, frazione di Scandiano, sulle prime colline reggiane. Una realtà di pregio, guidata dall’imprenditore Stefano Oleari, non distante dall’attacco del sentiero dedicato allo scienziato Spallanzani, che si snoda attraverso 125 km e circa 5.000 metri di dislivello, fino a San Pellegrino in Alpe. Ne caratterizzano la filosofia, produzioni sostenibili con tecniche e prodotti naturali che rifuggono la chimica di sintesi, puntando sugli antichi vitigni autoctoni della collina reggiana, come il Lambrusco Montericco, una varietà a bacca nera che si andava perdendo perché ritenuta poco redditizia, qui rivisitata in un Rosé Pas Dosè di collina per le grandi occasioni, capace di attingere a piene mani al territorio, ed esprimere acidità importanti e tenori zuccherini moderati. Lo ‘Scandilia’, dal nome dell’antica Scandiano, si origina su terreni di arenarie, marne, gesso, argille ed è affinato 24 mesi. Al naso esprime profumi floreali intriganti, freschi, intensi, con rimandi al lampone, alla fragolina di bosco e alla viola. Al palato i frutti rossi, la rosa, il glicine e grande freschezza, per un sorso delicato, acido e dalla struttura aristocratica, persistente, piacevole, lungo.